[409,1] 8o. La detta perfezion della ragione è relativa a
questa vita. Ma la ragione non può
esser perfetta se non è relativa all'altra vita. Perchè quel richiamarci ch'ella
deve fare alla natura, e alle illusioni naturali, essendo un richiamo fatto
dalla ragione, non può esser altro che persuasione di esse illusioni. Dopo
ch'esse son conosciute, come ci torneremmo, se non
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ci persuadessimo {di nuovo} che fossero vere? Un
ritorno della ragione, non ragionato, ma solamente volontario, non può esser che
vano, istabile e passeggero, come quello de' moderni filosofi sensibili, che
cercando a più potere di riprendere le illusioni perdute, ci riescono, al più,
momentaneamente, e del resto passano la vita nella freddezza, indifferenza e
morte. Dopo la cognizione pertanto, non possiamo tornare alle illusioni, cioè
ripersuadercene, se non conoscendo che son vere. Ma non son vere se non rispetto
a Dio e ad un'altra vita. Rispetto a Dio ch'è la virtù, la bellezza ec.
personificata; la virtù sostanza, e non fantasma, come nell'ordine delle cose
create. Rispetto a un'altra vita, dove la speranza sarà realizzata, la virtù e
l'eroismo premiato ec. dove insomma le illusioni non saranno più illusioni ma
realtà. Dunque la perfezion della ragione (tanto rispetto a questa come
all'altra vita, perchè ho mostrato che la perfezione rispetto a questa vita
dipende dalla perfezione rispetto all'altra) consiste formalmente nella
cognizione di un altro mondo. In questa cognizione dunque consiste la
perfezione, e quindi la felicità dell'uomo corrotto. Dunque l'uomo corrotto non poteva esser perfezionato nè
felicitato se non dalla rivelazione, ossia dalla Religione. Ed ecco strettamente
411 dimostrato e dichiarato come all'uomo corrotto
sia necessaria quella cognizione, ch'era contraria alla natura dell'uomo
primitivo; e come il Cristianesimo divinizzando la ragione e il sapere, non si
opponga al mio sistema che divinizza la natura nemica della ragione e del
sapere.
431,1