[4382,2]
Ivi, §. 201. Ma quale si fosse il tenore della lingua e della
verseggiatura di Dante, non è da
trovarlo in codice veruno; e in ciò la Volgata con la dottrina e la
pratica dell'Accademia predomina sempre in qualunque edizione ed
emendazione. Avvedendosi "Che per difetto comune di
quell'età"
*
- e chi mai non se ne avvedrebbe quand'è più
o meno difetto delle altre? - "l'ortografia era dura,
manchevole, soverchia, confusa, varia, incostante, e finalmente
senza molta ragione"
*
(Salviati, Avvertim. vol.
I. lib. 3. cap. 4.
*
Nota) - anzi
4383 vedendola migliore di poco nel
miracoloso fra' testi del
Decamerone ricopiato dal Mannelli (Discorso sul Testo del
Decam. p. ΧI. seg. pag. CVI.
*
Nota) -
parve agli Accademici di recare tutte le regole in
una, ed è: - "che la scrittura segua la pronunzia, e che da
essa non s'allontani un minimo che"
*
*
.
(Prefazione al Vocabolario, sez. VIII. Nota). Guardando ora
agli avanzi della Volgata Omerica di Aristarco, parrebbe che gli Accademici de' Tolomei fossero di poco più savj, o meno
boriosi de' nostri. La prosodia d'Omero, per l'amore di tutte le lingue primitive alla melodia,
gode di protrarre le modulazioni delle vocali. L'orecchio Ateniese, come
avviene ne' progressi d'ogni poesia, faceva più conto dell'armonia, e la
congegnava nelle articolazioni delle consonanti; e tanto era il fastidio
delle troppe modulazioni, chiamate iati dagli intendenti, che ne vennero
intarsiate fra parole e parole le particelle che hanno suoni senza
pensiero. Quindi gli Alessandrini alle strette fra Omero e gli Attici, e non s'attentando di
svilupparsene, emendarono l'iliade così che ne nasceva lingua e
verseggiatura la quale non è di poesia nè primitiva, nè raffinata. I
Greci ad ogni modo s'ajutavano tanto quanto come i Francesi e
gl'Inglesi; ed elidendo uno o più segni alfabetici nel pronunziare, non
li sottraevano dalla scrittura; così le apparenze rimanevano quasi le
stesse. Ma che non pronunziassero come scrivevano, n'è prova
evidentissima che ogni metro ne' poeti più tardi, e peggio negli
Ateniesi, ridonderebbe; nè sarebbero versi, a chi recitandoli dividesse
le vocali quanto il
4384 metro desidera ne'
libri Omerici: e l'esametro dell'iliade s'accorcerebbe di
più d'uno de' suoi tempi musicali, se avesse da leggersi al modo de'
Bisantini, snaturando vocali, o costringendole a far da dittonghi. Però
i Greci d'oggi a' quali la pronunzia letteraria venne da
Costantinopoli, e serbasi nel canto della
loro Chiesa, porgono le consonanti armoniosissime; ma non versi, poichè
secondano accenti semplici e circonflessi, e spiriti aspri, e soavi -
come che non ne aspirino mai veruno - ed apostrofi ed espedienti
parecchi moltiplicatisi da que' semidigammi ideati in
Alessandria, talor utili in quanto provvedono
alla etimologia e alle altre faccende della grammatica. Non però è da
tenerne conto in poesia, dove la guida vera alla prosodia deriva dal
metro; e il metro dipendeva egli fuorchè dalla pronunzia nell'età de'
poeti? Ad ogni modo i grammatici Greci sottosopra lasciarono stare i
vocaboli come ve gli avevano trovati, sì che ogni lettore li proferisse
o peggio o meglio a sua posta. Ma i Fiorentini non ricordevoli di
passati o di posteri, uscirono fuor delle strette medesime con la regola
universale - Che la scrittura non s'allontani dalla
pronunzia un minimo che; e non trapelando lume, nè cenno di
pronunzia certa dalle scritture, pigliarono quella che udivano. Però
mozzando vocali, e raddoppiando consonanti, e ajutandosi d'accenti e
d'apostrofi, stabilirono un'ortografia, la quale facesse suonare
all'orecchio non Io, nè
lo Imperio, o lo Inferno; ma I', lo 'Mpero, lo 'Nferno: e con mille altre delle
sconciature
4385 del dialetto Fiorentino de'
loro giorni, acconciarono versi scritti tre secoli
addietro.
*