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§. 203. ed ult. Ma perciò che i Fiorentini di padre in figlio continuarono
a ingoiare vocali o rincalzarle raddoppiando consonanti, l'Accademia
ideò che quel vezzo fosse nato a un parto co' loro vocaboli. (Avvertim.
della Lingua, vol. 2. p. 129 - 160. ed.
Mil. de' Classici.
*
Nota.)
Pur è sempre accidente più tardo; anzi comune ed
inevitabile a ogni lingua parlata: e tutti i popoli con l'andare degli
anni per affrettare e battere la pronunzia scemano modulazioni, perchè
sono molli e più lunghe; e le articolazioni riescono vibrate insieme e
spedite. De' Greci è detto; e più numero tuttavia di vocali scrivono gli
Inglesi, e pare che parlino quasi non avessero che alfabeto di
consonanti: ma chi ne' loro poeti antichi leggesse all'uso moderno, non
troverebbe versi nè rime. Nè credo che altri possa additare poesia di
gente veruna ove i fondatori della lingua scritta non si siano dilettati
di melodia; e che non vi dominassero le vocali; e che poi non si
diminuissero digradando. Anche nella prosodia latina, che era meno
primitiva e tolta di pianta da' Greci, e in idioma più forte di
consonanti finali, regge l'osservazione; ed anche nelle reliquie di Ennio pochissime, pur le battute
de' ventiquattro tempi dell'esametro
4387 su le
vocali per via d'iato sono moltissime; e spesse in Lucilio; e parecchie in Lucrezio; non rare in Catullo; non più di sette, che io me ne
ricordi, in Virgilio; e una sola
in Orazio, nè forse una in Ovidio. Or quante, se pur taluna
è da trovarne in Lucano e gli
altri tutti congegnatori intemperanti di consonanze, fino allo
strepitosissimo Claudiano? Ben
diresti che la divina commedia sia stata verseggiata studiosamente a
vocali. Ma che le modulazioni non prevalessero alle articolazioni de'
versi, avveniva più presto in Italia che altrove;
perchè il Petrarca aveva
temprato l'orecchio alla prosodia Provenzale sonora di finali tronche
più che la Siciliana che a Dante
veniva fluida di melodia. La lingua nondimeno per que' suoi fondatori fu
scritta, nè mai parlata; e quindi i libri non avendo compiaciuto alle
successive pronunzie, gli organi della voce hanno da stare
obbedientissimi all'occhio. Il danno della parola dissonante dalla
scrittura nelle lingue popolari e letterarie ad un tempo
*
(cioè
la francese l'inglese ec.), è minore della sciagura che
toccò alla Italiana, destinata anzi all'arte degli scrittori, che alla
mente della nazione
*
(vuol dire, scritta e non parlata, nè
scritta pel popolo). A questo i tempi, quando mai la
facciano parlata da un popolo, provvederanno. Per ora il potersi
scrivere così che ogni segno alfabetico sia elemento essenziale del
senso e del suono in ogni vocabolo, rimane pur quasi vantaggio su le
altre sino da' giorni di Dante.
Onde mi proverò di rapprossimarla alla prosodia di tutte le poesie
primitive, e alla ortografia che dove le lingue vivono scritte, ma non
parlate,
4388 si rimane letteraria, permanente
nelle apparenze, e svincolata de' suoni accidentali e mutabili d'età in
età nelle lingue popolari
*
(francese inglese ec.), e ne' dialetti municipali. Forse così la lezione della
divina commedia, perdendo i vezzi di Fiorentina ritornerà schietta e
Italiana.
*
Fine del Discorso.
(Firenze. Domenica. 21. Sett.
1828.). {{V. p. 4487.}}