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[593,2]  Quid autem est horum in voluptate? melioremne efficit, aut laudabiliorem virum? an quisquam in potiundis voluptatibus gloriando sese, et praedicatione effert? * (Cic., Paradox. 1. c. 3. fine) Oggi sibbene, o M. Tullio, nè c'è maggior gloria per la gioventù, nè scopo alla carriera loro più brillantemente, manifestamente e concordemente proposto, nè mezzo di ottener lode e stima più sicuro e comune, che quello  594 di seguire e conseguire le voluttà, ed abbondarne, e ciò più degli altri. L'oggetto delle gare ed emulazioni della più florida parte della gioventù, non è altro che la voluttà, e il trionfo e la gloria è di colui che ne conseguisce maggior porzione, e che sa {e può} godere e immergersi nei vili piaceri più degli altri. Le voluttà sono lo stadio della gioventù presente: tanto che {già} non si cercano principalmente per se stesse, ma per la gloria che ridonda dall'averle cercate e conseguite. E se non di tutte le voluttà si può gloriare colui che le ottiene, in quel momento medesimo, in cui le gode, (sebbene di moltissimi generi di voluttà accade {tuttogiorno} ancor questo) certo desidererebbe di poterlo fare, di aver testimoni del suo godimento: anzi questo godimento consiste per la massima parte nella considerazione e aspettativa del vanto che gliene risulterà: e subito dopo, non ha maggior cura, che di divulgare e vantarsi della voluttà provata; e questo anche a rischio di chiudersi l'adito a nuove voluttà; e colla certezza di nuocere, tradire, essere  595 ingiusto e ingrato verso coloro onde ha ottenuta la voluttà che cercava. E sebbene certamente neanche oggi la voluttà rende l'uomo migliore, lo rende {però} più lodevole agli occhi della presente generazone, il che tu o M. Tullio, stimavi che non potesse avvenire. (1 Feb. 1821.).