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[794,1]  Per aver {poco} bisogno  795 di voci straniere, è necessario che una nazione, non solo abbia coltivatori di ogni sorta di cognizioni {e nel tempo stesso diligenti, studiosi e coltivatori della lingua,} ed in se stessa una vita piena di varietà, di azione, di movimento ec. ec. ma ancora ch'ella sia l'inventrice o di tutte o di quasi tutte le cognizioni, e di tutti gli oggetti della vita che cadono nella lingua, e non solo pura inventrice, ma anche perfezionatrice, perchè dove le discipline, e le cose s'inventano, si formano, si perfezionano, quivi se ne creano i vocaboli, e questi con quelle discipline e con quegli oggetti, passano agli stranieri. Così appunto è avvenuto alla Grecia, e però appunto la sua lingua si fe' così ricca, e potè mantenersi così pura, a differenza della latina. Perchè la greca abbisognava di poco dagli stranieri, da' quali poche notizie e nessuna disciplina (si può dire) ricevea (eccetto negli antichissimi tempi, cioè intanto che la lingua diveniva tale): la latina viceversa. All'italia da principio veniva ad accader quasi lo stesso, essendo ella inventrice di tutte quasi le discipline che si conobbero in quei tempi,  796 abbondandone nel suo seno i coltivatori, e questi diligenti, studiosi e padroni della lingua; ed avendo anche molta vita e varietà e riputazione al di fuori, e spirito patriotico, sebben disunito, pure e forse anche più valevole, a fornirla di molti oggetti di lingua. Ma essendosi fermata nel momento che le discipline e sono cresciute di numero, e tutte portate a un perfezionamento rapidissimo, e vastissimo; non essendo intervenuta per nessuna parte ai travagli immensi di questi ultimi secoli, tanto nel perfezionamento delle cognizioni, quanto nel resto; di più avendo nello stesso tempo per diverse cagioni, trascurata affatto la sua lingua, in maniera che anche quegli italiani scrittori che hanno cooperato alquanto (e ben poco, e pochi) col resto dell'europa, al progresso ultimo delle cognizioni, non hanno niente accresciuta la lingua del suo, avendo scritto non italiano, ma barbaro, {+ed avendo adottate di pianta le rispettive nomenclature o linguaggi che aveano trovati presso gli stranieri nello stesso genere, o in generi simili al loro (se per avventura essi ne fossero stati gl'inventori):} è doloroso, ma necessario il dire, che s'ella d'ora innanzi non vuol esser la sola parte d'europa meramente ascoltatrice, o ignorare affatto le nuove universalissime cognizioni, s'ella vuol parlare a' contemporanei, e di cose adattate al tempo, come tutti i buoni scrittori han fatto, e come bisogna pur fare in ogni modo; le conviene ricevere  797 nella cittadinanza della lingua (bisogna pur dirlo) non poche, anzi buona quantità di parole affatto straniere. Si consoli però che tutte le nazioni, quando più quando meno hanno avuto il medesimo bisogno, quale in un tempo, quale in un'[un] altro; l'ha avuto anche la sua antica lingua, cioè la latina; l'abbiamo avuto noi stessi nei principii della nostra lingua (e se ora ci bisogna ritornare a quella necessità che si prova nei principii, nostra colpa): e non creda di diventar barbara, se saprà far quello ch'io dico con retto e maturo e accurato {e posato} giudizio. Anzi si dia fretta {a introdurre e scegliere queste medesime voci straniere} se non vuole che la lingua imbarbarisca del tutto, e senza rimedio. Perchè l'unica via di arrestare i progressi {della corruttela} è questa. Proclamare lo studio profondo e vasto della lingua, e nel tempo stesso la libertà che ciascuno {scrittore} impadronitosi bene della lingua e conosciutone a fondo l'indole e le risorse, usi il suo giudizio nell'introdurre, e impiegare e spendere la novità necessaria, anche straniera. Finchè uno scrittore qualunque (che non sia da bisavoli)  798 sarà privo di questa libertà, sarà stimato impuro se vorrà usare la necessaria novità si vedrà costretto a scegliere fra quella che si chiama e se le presenta e prescrive come purità di lingua, e {tra} la facoltà di trattare il suo soggetto e di esprimere i suoi pensieri (originali e propri, o no, ma solamente moderni): disperando di una purità nella quale sia non solamente difficile, (come sempre sarà ed in ogni caso) ma del tutto impossibile di esprimere i suoi pensieri, la trascurerà affatto, e diverrà (malgrado ancora la buona intenzione) colpevole per la forza del bisogno, ricorrendo a quella barbarie la quale sola gli fornirà il modo di farsi intendere e di scrivere. Ovvero al più seguirà quella miserabile separazione fra gli scrittori vuotissimi e nulli ma puri, e fra gli scrittori di cose ma barbari; quando nessun de' due può mai sperare l'immortalità, ma molto meno i primi, senza riunire le due qualità e i due pregi che consistono nelle parole e nelle cose. Disordini però tutti già tanto inoltrati in Italia, e bisognosi di sì lunga opera, e di tanto ingegno e  799 giudizio, e di tanta difficoltà a ripararli, che io con dolore predico che non se ne verrà certo a capo in questa generazione, e chi sa quando. (Giacchè per rimetter davvero in piedi la lingua italiana, bisognerebbe prima in somma rimettere in piedi l'italia, e gl'italiani, e rifare le teste {e gl'ingegni} loro, come lo stesso bisognerebbe per la letteratura, e per tutti gli altri pregi e parti di una buona e brava e valorosa nazione; che con questi ingegni, con queste razze di giudizi e di critica, faremo altro che ristaurare la lingua.) Perchè se si presume di averlo conseguito collo sbandire e interdire e precludere affatto la novità delle cose e del pensiero, lasciando stare che in fatti non si è conseguito un fico, perchè eccetto pochissimissimi i più puri {e vuoti} scrivono barbarissimamente, dico, non ostante l'amore ch'io porto a questa purità, e lo stimarla necessarissima, che il rimedio è peggio del male. Vero è che da gran tempo gli scrittori italiani puri ed impuri si sono egualmente dispensati dal pensare, e anche dal  800 dire, talmente che se alcuno de' nostri scritti ci fosse pericolo che potesse passare di là da' monti o dal mare, gli stranieri si maraviglierebbero sodamente come, in questo secolo, in una nazione posta nel mezzo d'europa si possa scrivere in modo, che l'aver letto, si può dire, qualunque de' libri italiani che ora vengono in luce, sia lo stesso nè più nè meno che non aver letto nulla. Del resto il punto sta che la novità ch'io dico (e parlo in particolare della straniera) si sappia convenevolmente introdurre. Perchè tutte le lingue antiche e moderne sono composte di elementi stranieri, e pur tutte hanno avuto il tempo della loro purità e naturalezza; e potrà riaverlo anche l'italiana, non ostante {l'aggiunta de'} molti nuovi e necessari elementi stranieri, purchè si sappia fare, e non si trascuri, anzi si coltivi profondamente, e sempre più il proprio terreno. (16. Marzo 1821.).

3860,2Letteratura italiana d'oggidì.Libertà nelle lingue. Libertà nell'adoperare la propria lingua.Libertà nelle lingue. Libertà nell'adoperare la propria lingua.europaeuropaeuropaGraeciaItaliaItaliaItalia