[4345,1]
4345 In quella letteratura antiscritturale, il solo
modo di pubblicare i propri componimenti, era il cantarli esso, o insegnarli ad
altri che li cantassero. Fuitque diu haec
*
(ars rhapsodorum) unica via publice prodendi ingenii
*
. (Wolf §. 23. p. xcviii.) Queste
furono per più secoli le edizioni de' greci. Tanto che anche dopo reso comune
l'uso della scrittura, etiam Xenophanem poemata sua
ipsum ῥαψῳδῆσαι legamus
*
, osserva il Wolf (ib.)
citando il Laerzio, IΧ. 18.
male inteso da altri. E forse ancora di qui venne che Erodoto, un de' primi scrittori di prosa, anche la sua
prosa (se è vero quel che si racconta; e forse questa osservazione potrebbe
farlo più probabile) volle recitare in pubblico. {(v. p. 4375.)} Stante l'uso
delle passate età, e l'assuefazione, non pareva pubblicato, edito, quello che
non fosse comunicato veramente e di viva voce al popolo. Lascio che, per lungo
tempo dopo il detto uso della scrittura, si continuò appresso i greci la
recitazione pubblica o canto de' versi d'Omero e degli altri poeti antichi. Ac primo quidem tempore et paene ad
Periclis usq. aetatem
Graecia
Homerum et ceteros ἀoιδoύς suos
adhuc auditione magis quam lectione cognoscebat. Paucorum etiam tum erat
cura scribendi, lectio operosa et difficilis; itaque rhapsodis maxime
operam dabãt[dabant] captique mira
dulcedine cantus ab illorum ore pendebant. In clarissimis huius
saeculi
*
(secolo di Pericle) rhapsodis memoratur circa Olymp.
69. Cynaethus, Pindaro aequalis, qui
Chio commigravit
Syracusas, vel ibi maxime artem
factitavit.
*
(Wolf §.
36. p. clx.) Noti sono i rapsodi del tempo di Socrate, di Platone, (ib. p. clxi. not. 22.)
{e di Senofonte, §. 23. p. xcvi.} e
l'autore
4346 dell'Ipparco, dialogo che va tra le opere di quest'ultimo, dice che
anche al suo tempo si recitavano da' rapsodi alle feste de' Panatenei
quinquennali, i versi di Omero, con
quell'ordine che, secondo lui, da Ipparco figlio di Pisistrato era stato ingiunto ai rapsodi da osservarsi nel recitarli.
E durò fino agli ultimi tempi della Grecia l'uso di
recitare a memoria ne' conviti e nelle conversazioni colte, degli squarci di
poesia, or d'uno or d'altro autore; il che si chiamava ῥῆσιν εἰπεῖν e simili;
{+V. p. 4438.} e
vedine il Comento del Coray a' Caratteri di Teofr. e del Casaubono
ad Ateneo. Possono considerarsi
come una continuazione dell'antica usanza rapsodica quei tanti componimenti di
genere letterario ed epidittico che i sofisti e retori a' tempi romani, {e massime nel 2.o secolo,} andavano declamando
pubblicamente per le città della grecia,
dell'Asia, della Gallia, ora
in lode di esse città, ora degl'impp.[imperatori], ora degli Dei {o eroi ec.} del
paese, or sopra argomenti di morale, di filologia nazionale ec. {{V. p. 4351.}}