[1187,1] Il perfezionamento del gusto in ogni materia, sia
nelle arti, sia riguardo alla bellezza umana, sia in letteratura ec. ec. si
considera come una prova del bello assoluto, ed è tutto l'opposto. Come si
raffina il gusto de' pittori, degli scultori, de' musici, degli architetti, de'
galanti, de' poeti, degli scrittori? Col molto vedere o sentire di quei tali
oggetti sui quali il detto gusto si deve esercitare; coll'esperienza, col
confronto, coll'assuefazione. Come dunque questo gusto può dipendere da un tipo
assoluto, universale, immutabile, necessario, naturale, preesistente? Quello
ch'io
1188 dico de' fanciulli, dico anche de' villani,
e di tutti quelli che si chiamano o di rozzo, o di cattivo, o di non formato
gusto in ogni qualsivoglia genere di cose: lo dico di chi non è avvezzo a vedere
opere di pittura, il quale ognuno sa e dice che non può giudicare del bello
pittorico; lo dico di chi non è accostumato alla lettura de' buoni poeti, il
quale non può mai giudicare del bello poetico, del bello dello stile ec. ec. ec.
Come il giudizio e il senso del fanciullo intorno al bello, è da principio
necessariamente grossolanissimo, cosa che dimostra evidentemente come il detto
giudizio dipenda dall'assuefazione, così il giudizio e il senso della massima
parte degli uomini {circa il bello,} resta sempre
imperfettissimo non per altro, se non perchè la massima parte degli uomini non
acquista mai una tal esperienza da poter formare quel giudizio minuto, esatto e
distinto, che si chiama gusto fino. Cioè 1. non considera bene le minute parti
degli oggetti, per poterle confrontare, e formarsene quindi l'idea della
proporzione determinata, {idea}
ch'egli non ha. 2. non {ha l'abito} di
confrontare minutamente, ch'è l'unico mezzo di giudicare minutamente della proporzione e
sproporzione, bellezza o bruttezza, buono o cattivo. Così andate discorrendo, e
applicate queste osservazioni a tutte le facoltà e cognizioni umane. E dal
vedere che il senso
1189 del bello è suscettivo di
raffinamento e accrescimento sì ne' fanciulli, e sì negli uomini già formati,
deducete ch'esso non è dunque innato nè assoluto, giacchè quello che ha bisogno
di essere acquistato e formato non è ingenito; e quello che essendo suscettivo
di accrescimento è per conseguenza suscettivo di cangiamento, non è nè può
essere assoluto.
[1646,1] Poniamo che la classe possidente o benestante sia
complessivamente alla classe povera o laboriosa ec. come 1. a 10. Certo è
nondimeno che per 30. uomini insigni e famosi in qualsivoglia pregio d'ingegno
ec. che sorgano nella prima classe, appena uno ne sorgerà nell'altra, e
quest'uno probabilmente sarà passato sin da fanciullo nella prima, mediante
favorevoli
1647 circostanze di educazione ec. Scorrete
massimamente le campagne (giacchè le città sviluppano {sempre} alquanto le facoltà mentali anche dei poveri) e ditemi, se
potete, il tal contadino è un genio nascosto. E pur è certo che vi sono {fra i contadini} tante persone proprie a divenir geni,
quante nelle altre classi in proporzione del numero rispettivo di ciascuna. E
nessuna è più numerosa di questa. Che cosa è dunque ciò che si dice, che il
genio si fa giorno attraverso qualunque riparo, e vince qualunque ostacolo? Non
esiste genio in natura, cioè non esiste (se non forse come una singolarità)
nessuna persona le cui facoltà intellettuali sieno per se stesse
strabocchevolmente maggiori delle altrui. Le circostanze e le assuefazioni col
diversissimo sviluppo di facoltà non molto diverse, producono la differenza
degl'ingegni; producono specialmente il genio, il quale appunto perchè tanto
s'innalza sull'ordinario (il che lo fa riguardare come certissima opera della
natura); perciò appunto è figlio assoluto dell'assuefazione ec. (7. Sett.
1821.).