[126,2] L'impressione che produce l'annunzio improvviso di una
grave sventura, non si accresce in proporzione della maggiore o minor gravità di
essa. L'uomo in quel punto la considera quasi come somma, e tutto l'impeto del
dolore si scarica sopra di essa, in maniera che non avrebbe potuto raddoppiarsi,
se la sventura annunziatagli fosse stata del doppio maggiore, voglio dire però,
se sin da principio gli fosse stata annunziata così, perchè sopravvenendo un
altro annunzio, la successione della cosa lascia luogo all'accrescimento del
dolore, sebbene neanche allora l'accrescimento sarebbe in proporzione del
raddoppiamento della sventura, perchè l'anima è già esaurita e come intorpidita
dal
127 dolore passato. Ieri in mezzo a una festa, due
fanciulli restano oppressi da una pietra caduta da un tetto. Si sparge voce che
tutti due sieno figliuoli di una stessa madre. Poi la gente si consola perchè
viene in chiaro che sono di due donne. Che altro è questo se non rallegrarsi
perchè il dolore si raddoppia veramente, essendo ugualmente grave in ambedue?
quando in una sola appresso a poco sarebbe stato lo stesso in {tutti} due i casi. E quella che tramortì all'annunzio,
non avrebbe potuto soffrir di più se la sventura per se stessa fosse stata
doppia. Prescindendo dal caso che la morte di due figli la privasse di tutta la
figliuolanza, il che muterebbe la specie della disgrazia, ed è fuor del caso. E
potrebbe anche darsi che quel solo figlio ch'ella perdè, fosse unico, laonde
questa considerazione qui non ha luogo. (16. Giugno 1820.).
[366,2] L'idea di una grave sventura (come anche di qualunque
grande e strana mutazione di cose in bene come in male) che ci sopraggiunga,
massimamente improvvisa, non si può concepire intera, se non altro ne' primi
momenti; anzi è sempre confusissima, debolissima, oscurissima, e
diffettosa[difettosa.] Non considero adesso
l'impressione e la sorpresa e il dolore ec. che deve naturalmente oscurar
l'anima, e intorpidirla. Ma ponete che vi si annunzi la morte di uno de' vostri
cari e familiari, anche preveduta. Il dispiacere,
367 la
rimembranza delle relazioni avute con lui, la novità che introduce nella vostra
vita, vale a dire il troncamento di tutte quelle relazioni, e il dover
considerare quella persona in un modo tutto diverso dal passato, cioè come
morta, come incapace di essere amata o beneficata, di amare e beneficare ec. ec.
tutte queste {cose} che si presentano in folla alla
vostra mente, vi cagionano una confusione un imbarazzo uno stupore tale, che voi
in luogo di considerare ciascuna parte della cosa, non ne considerate nessuna,
non siete capace di valutare nè l'estensione nè la profondità nè la natura della
cosa, nè di formarvene un concetto preciso, e restandovi solamente l'idea in
genere e confusamente, non siete capace di pensarvi, nè vi pensate formalmente,
non dirò perchè non vogliate pensarvi, ma perchè non sapete pensarvi. E quindi
accade quella cosa osservatissima che le grandi mutazioni, sieno disgrazie,
sieno fortune, al primo momento istupidiscono, e non è se non col tempo, che voi
considerandone ciascuna parte, ne cominciate a piangere o rallegrarvene
separatamente. Giacchè questo pure è notabile, che l'atto del piangere o
rallegrarsi ec. insomma l'espressione τοῦ πάθους cade sempre sopra una parte
della cosa, non già sul tutto, perchè l'anima non è capace di abbracciar questo
tutto, in uno stesso tempo. P. e., nel
368 caso detto di
sopra, voi comincerete a piangere per una determinata rimembranza, per una tal
riflessione sopra il futuro o il presente, e per simili cose, che non potete
ravvisare, e separare, e concepire nel primo momento, nè durante
le[la] prima impressione. Ma finattanto che
l'idea {o la cosa} vi si presenterà tutta intera, e voi
non potrete distinguerne, e noverarne le parti, voi non piangerete mai, nè
sarete commosso determinatamente, ma solo confusamente. E neanche dopo lungo
tempo, voi non piangerete mai per la considerazione totale e generale della
disgrazia intera. (1. Dec. 1820.)