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[1124,2]  Secondo la quale opinione, io penso che si potrebbe anche notare come costante nella lingua latina antichissima, che la prima e terza persona singolare  1125 {presente} indicativa del perfetto, fossero parimente dissillabe in tutti i verbi radicali e regolari, {+al modo appunto che in ebraico la terza persona di detto tempo e numero. V. p. 1231. capoverso 2.} Dei verbi della terza congiugazione, questo è manifesto, come in legi e legit, feci e fecit, dixi e dixit. Dei verbi della seconda, non si può disputare, ammessa la suddetta opinione, ch'io credo certissima, (essendo naturale all'orecchio rozzo il considerare due vocali unite come una sillaba sola, e proprio di un certo raffinamento e delicatezza il distinguerla in due sillabe): perchè secondo essa opinione, docui {e docuit} anticamente furono dissillabi. Restano la prima e la quarta congiugazione, dove amavi ed amavit, audivi ed audivit sono trisillabi. Ora della quarta congiugazione io penso che il perfetto primitivo fosse in ii cioè audii e audiit, perfetto che ancora dura, ed è ancora comune a tutti o quasi tutti i verbi {regolari} d'essa congiugazione, a molti de' quali manca il perfetto in ivi, come a sentire {che fa sensi.} Audii ed audiit (che troverete spessissimo scritti all'antica audi ed audit, come altre tali i che ora si scrivono doppi) erano, secondo quello che ho detto, dissillabi. La lettera v, io penso che fosse frapposta posteriormente alle due i di detto perfetto, per più dolcezza. E  1126 tanto sono lungi dal credere che la desinenza in ivi di quel perfetto, fosse primitiva, che anzi stimo che anche la desinenza antichissima del perfetto indicativo della prima congiugazione, non fosse avi, ma ai, nè si dicesse amavi, ma amai, dissillabo secondo il sopraddetto. Nel che mi conferma per una parte l'esempio dell'italiano che dice appunto amai, (e richiamate in questo proposito quello che ho detto p. 1124. mezzo, (come anche udii), e del francese che dice j'aimai; per l'altra parte, e molto più, l'esser nota fra gli eruditi la non grande antichità della lettera v, consonne que l'ancien Orient n'a jamais connue. (Villefroy, Lettres à ses Elèves pour servir d'introduction à l'intelligence des divines Ecritures. Lettre 6. à Paris 1751. t. 1. p. 167.) {V. p. 2069. principio.} E lasciando gli argomenti che si adducono a dimostrare la maggiore antichità de' popoli Orientali rispetto agli Occidentali, e la derivazione di questi e delle loro lingue da quelli, osserverò solamente che la detta lettera manca alla lingua greca, colla quale la latina ha certo comune l'origine, o derivi dalla greca, o le sia, come credo, sorella. E di più dice Prisciano (l. I. p. 554. ap. Putsch.) (così lo cita il Forcell. init. litt. u. nella mia edizione del 400. sta p. 16. fine) che {anticamente} la lettera u multis italiae populis in usu non erat. E che il v consonante fosse da principio appo i latini una semplice  1127 aspirazione, e questa leggera, si conosce, secondo me dal vedere ch'esso sta nel principio di parecchie parole latine gemelle di altre greche, che in luogo d'essa lettera hanno lo spirito lene o tenue, come {ὄϊς ovis,} vinum οἶνος, video εἴδω, {viscus o viscum ἰξός. (Talora anche in luogo di spirito denso come υἱός, onde gli Eoli υιός, i latini filius.) V. Encyclop. Grammaire. in H. p. 214. col. 2. sul principio, e in F.} ec. E ch'elle sieno parole gemelle, è consenso di tutti i gramatici. Laddove lo spirito denso dei greci solevano i latini cangiarlo in s (e così per un sigma lo scrivevano i greci anticamente), come in ὕπνος che presso i latini si disse prima sumnus (Gell.) e poi somnus ec. {V. p. 2196.} Anzi di questa cosa non resterà più dubbio nessuno se si leggerà quello che dice il Forcellini (v. Digamma. e vedilo), e Prisciano (p. 9. fine - 11. e vedilo). Da' quali apparisce che il v consonante appresso gli antichi latini fu lo stessissimo che il digamma eolico (giacchè dagli eoli prese assai, com'è noto, la lingua lat.). Il qual digamma presso gli Eoli era un'aspirazione, o specie di aspirazione che si preponeva alle parole comincianti per vocale, in vece dello spirito, e (nota bene) si frapponeva alle vocali in mezzo alle parole per ischifare l'iato, come in amai, amplia Ϝit termina Ϝitque * ha un'iscrizione presso il Grutero. {V. Encyclop. Grammaire, art. F. Cellar., Orthograph. Patav. Comin. 1739. p. 11-15.} E v. il luogo di Servio nel Forcellini circa il perfetto della quarta congiugazione. {+Dalle quali osservazioni essendo chiaro che l'antico v latino fu {(come oggi fra' tedeschi)} lo stesso che una f, non resta dubbio che non fosse aspirazione, giacchè la f non fu da principio lettera, ma aspirazione, {e lieve.} E così {viceversa} gli spagnuoli che da prima dicevano fazer, ferido, afogar, {fuso, figo, fuìr, fierro, filo, furto, fumo, fondo, formiga, forno, forca, fender}, ora dicono hazer, herido, ahogar, hurto, humo, {horca, hondo, hormiga, horno, huso, higo, huìr, hender, hierro, hilo} ec. V. p. 1139. e 1806.} In somma si vede chiaro che la primitiva e regolare uscita de' perfetti 1. e 4. congiug. era ai ed ii, trasmutata in avi ed  1128 ivi per capriccio, per dolcezza, per forza di dialetto, e pronunzia irregolare, corrotta e popolare, che suole sempre {e continuamente} cambiar faccia alle parole, col successo del tempo, e introdursi finalmente nelle scritture, e convertirsi in regola, come vediamo nella nostra e in tutte le lingue. {{V. p. 1155. capoverso ult. e p. 2242. capov. 1. e 2327.}}