[140,1] Il dolore o la disperazione che nasce dalle grandi
passioni e illusioni {o da qualunque sventura della
vita} non è paragonabile all'affogamento che nasce dalla certezza e
dal sentimento vivo della nullità di tutte le cose, e della impossibilità di
esser felice a questo mondo, e dalla immensità del vuoto che si sente
nell'anima. Le sventure o {d'}immaginazione o reali,
potranno anche indurre il desiderio della morte, o anche far morire, ma quel
dolore ha più della vita, anzi, massimamente se proviene da immaginazione e
passione, è pieno di vita, e quest'{altro dolore} ch'io
dico è tutto morte; e quella
141 medesima morte prodotta
immediatamente dalle sventure è
cosa più viva, laddove quest'altra è più sepolcrale, senz'azione senza movimento
senza calore, e quasi senza dolore, ma piuttosto con un'oppressione smisurata e
un accoramento simile a quello che deriva dalla paura degli spettri nella
fanciullezza, o dal pensiero dell'inferno. Questa condizione dell'anima è
l'effetto di somme sventure reali, e di una grand'anima piena una volta
d'immaginazione e poi spogliatane affatto, e anche di una vita così
evidentemente nulla e monotona, che renda sensibile e palpabile la vanità delle
cose, perchè senza ciò la gran varietà delle illusioni che la misericordiosa
natura ci mette innanzi tuttogiorno, impedisce questa fatale e sensibile
evidenza. E perciò non ostante che questa condizione dell'anima sia
ragionevolissima anzi la sola ragionevole, con tutto ciò essendo contrarissima
anzi la più dirittamente contraria alla natura, non si sa se non di pochi che
l'abbiano provata, come del Tasso.