[2515,1] E quella ricchissima, {fecondissima,} potentissima, regolatissima, e al tempo stesso {variatissima, poetichissima e} naturalissima lingua del
cinquecento, ch'a noi (ne' suoi buoni scrittori) riesce così elegante, forse
ch'allora fu tenuta per tale? Signor no, ma per corrotta. E la buona lingua si
stimava solo quella del trecento, {+e se
ne deplorava la mutazione, chiamandola corruzione e scadimento totale della
lingua, (come noi facciamo rispetto al 500),} e gli scrittori tanto
più s'avevano eleganti, quanto meno scrivevano nella lingua loro per iscrivere
in quella di quell'altro secolo. Laddove a noi, a' quali l'una e l'altra è
divenuta pellegrina, tanto più piacciono i cinquecentisti quanto più seguono
l'uso
2516 del loro secolo, e meno imitano il trecento.
Ed è ben ragionevole perchè allora solo possono esser naturali e di vena, come è
il Caro che non fu mai imitatore.
{+(È notabile che di parecchi
cinquecentisti, le lettere dov'essi ponevano meno studio, e che stimavano
essi medesimi di lingua impurissima, mentr'era quella del loro secolo, sono
più grate a leggersi, e di migliore stile che l'altre opere, dove si
volevano accostare alla lingua del trecento, mentre nelle lettere usavano la
lingua loro, e riescono per noi elegantissimi e naturalissimi.). V. p. 2525.} Ma anche nel
cinquecento non si stimava veramente elegante se non il pellegrino, e lo
trovavano e cercavano nella lingua del trecento, che sola chiamavano pura,
quando per noi è purissima quella del cinquecento. V. Salviati, Avvertim.
della lingua, citati nelle op. del Casa, Venezia 1752. t. 3. p. 323. fine -
324. Nel trecento poi nemmen si parlava di purità, nè si poneva tra i
pregi della lingua o dello scrivere; e la lingua del loro secolo non si stimava
elegante (se non forse alcune smancerie fiorentine, di cui parla il Passavanti, e queste credo piuttosto che s'amassero nel
resto di Toscana o d'italia, che
in Firenze, come accade veramente anche oggi): e quelli
scrittori che più si stimavano eleganti, e che tali si credevano o pretendevano
essi medesimi, erano non quelli che oggi più s'ammirano per la naturalezza e la
semplicità, e che
2517 in somma usavano più puramente
la lingua nazionale o patria del tempo loro, ma quelli che oggi meno
s'apprezzano, cioè che la fornivano di parole e modi forestieri, e che si
studiavano di tirarla alle forme d'altre lingue, e d'altri stili, come fece il
Boccaccio rispetto al latino, e come
anche Dante, la cui lingua, s'è pura per
noi, che misuriamo la purità coll'autorità, niuno certamente avrebbe chiamato
pura a quei tempi, s'avessero pensato allora alla purità{{, e
gli stessi cinquecentisti non erano}}
{+molto inchinati a stimarlo tale, nè ad
accordargli un[un'] assoluta autorità e voto
decisivo in fatto di purità di lingua, restringendosi piuttosto al Petr. e al Boc.
V. Caro
Apolog. p. 28. fine ec. Lett. 172. t. 2. e se vuoi,
anche il Galateo del Casa circa la stima
ch'allora si faceva di tanto poeta.}