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[2786,1]  Alla p. 2776. La voce ἁρπυῖαι properispómena può benissimo essere un {antico} participio di un verbo ἅρπω {+(v. la p. 2826, marg.)} come εἰκυῖα di εἴκω, εἰδυῖα di εἴδω per sincope di εἰδηκυῖα, da εἴδα sincope di εἴδηκα. Non così di ἁρπάω al quale non può in nessun modo appartenere. {Altri vogliono, ed è verisimile, che εἰδώς, ἑστώς, βεβώς {ec.} sieno participi preteriti perfetti medii. V. p. 2975. e lo Scapula in Mέλει.} Che se i grammatici fanno questa voce ἁρπυῖαι proparossítona, scrivendo ἅρπυιαι, 1. non tutti così fanno, e v. Schrevel. e Forcell. in Harpyiae: 2. può ben essere che questa voce sia proparossítona ne' due luoghi dell'odissea, e in quello della teogonia, {(v. 267.)} ne' quali è usurpata per antonomasia, come vuole il Visconti che sia nell'odissea, o per nome appellativo, come è nella Teogonia: perciocchè perduta la sua forma e significazione di participio, e ridotta a sostantivo,  2787 e mutato uso, condizione e significato, non è maraviglia ch'esso muti l'accentazione come accade in altre mille parole. Ma tale ancora, ella si riconosce per un participio femminino, il quale non può venire se non da ἅρπω parossítono, e non da ἁρπῶ, nè da ἁρπάω nè da ἁρπάζω, e il cui mascolino sarebbe ἁρπώς. E nel luogo delle iscrizioni triopee, dov'ella è aggettivo, io son d'opinione che vada scritta properispómena. Non so come la scriva il Visconti: {la lapide non ha accenti.} 3. Ognun sa che in queste materie degli accenti, come {in} tante altre, non è da prestar gran fede ai grammatici che abbiamo, benchè greci, e ch'essi sono stati corretti cento volte dagli eruditi moderni colla più accurata osservazione dell'antichità; delle origini, delle derivazioni, delle analogie, della ragion grammaticale della lingua greca. E se ciò accade anche nelle cose che appartengono alla lingua di Tucidide o di Platone, quanto minor forza avrà un'obbiezione  2788 fondata sull'autorità di sempre recenti e semibarbari e poco dotti grammatici in materie così antiche, come è questa; nella quale poi in particolare, i grammatici, secondo il Visconti, errarono nella stessa significazione della parola, pigliando per démoni alati, per tempeste, procelle, venti ec. (v. lo Scapula e il Tusano) quelle che, secondo il Visconti, non erano altro che le Parche.