[2977,1] Ora ella è pur cosa mirabile ad osservare che lo
spirito e la vena di Omero, l'uno tanto
vivido {gagliardo} e fervido e l'altra così ricca e
feconda {in ciascheduna parte,} abbiano potuto reggere,
lascio stare in due poemi, ma in un poema medesimo, per così lungo tratto.
Perciocchè tutti gli altri poeti epici, avendo tolto qual più qual meno, quale
direttamente e quale indirettamente, qual più visibilmente e qual più
copertamente da lui, e successivamente gli uni dagli altri di mano in mano, si
vede tuttavia che non hanno
2978 potuto reggere a un
corso così lungo, per vigorosi e vivaci che fossero, e sonosi contentati d'una
carriera assai più breve, e bene spesso prima di giungere al termine di questa
medesima, hanno pur lasciato chiaramente vedere che si trovavano affaticati, e
che la lena e l'alacrità veniva lor manco, tanto più quanto più s'avvicinavano
alla meta. {Da queste osservazioni si
deduce quanto la natura e l'ingegno son più ricchi dell'arte e come
l'imitatore è sempre più povero dell'imitato. V. Algarotti
Pensieri. Opp. Cremona, t. 8. p.
79.} E Virgilio, il
quale che cosa non ha tolto ad Omero?,
nella seconda metà della sua Eneide riesce
evidentemente languido e stanco, e diverso da se medesimo, se non nella
invenzione, certo però nell'esecuzione {cioè nelle immagini,
nella espansione e vivacità degli affetti} e nello stile, il che non
può esser negato da veruno che ben conosca la maniera, la poesia, la lingua, la
versificazione di Virgilio, anzi a
questi tali la differenza si fa immediatamente sentire: {V. Chateaubriand, Génie.
Paris 1802. Par. 2. l. 2. ch. 10 fin. t. 2.
p. 105-6.} e vedesi che l'immaginazione di Virgilio era per la lunga fatica
illanguidita, raffreddata, e sfruttata; non rispondeva all'intenzione del poeta;
non
2979 gli ubbidiva; egli poetava già {per instituto e quasi debito,} per arte e per abitudine,
arte e abitudine che in lui erano eccellentissime, e possono ai meno esperti
sembrare impeto ed ὁρμή poetica, ma non sono, e non paiono tali ai più accorti,
i quali in quegli ultimi libri desiderano la vena, la προϑυμία, l'alacrità di
Virgilio. L'invenzione doveva essere
stata da lui tutta concepita e disposta fin dal principio, com'è naturale in
ogni buon poeta, e massime in un poeta di tant'arte e maestria. Quindi s'ella
nel fine non è inferiore al principio, niuna maraviglia. L'immaginazione era
così fresca quando inventava il fine del poema, come quando inventava il
principio. Ma non minor forza, vivezza, attività, prontezza, fecondità
d'immaginativa si richiede allo stile, ossia all'esecuzione che all'invenzione.
Anzi si può dire che lo stile poetico, e nominatamente quello di Virgilio, sia un composto di continue,
innumerabili e successive invenzioni. Ogni metafora, ogni aggiunto che abbia
quella mirabile
2980 e novità ed efficacia ch'e'
sogliono avere in Virgilio, sono tante
particolari e distinte invenzioni poetiche, come sono invenzioni le
similitudini, e richiedono una continua energia, freschezza, mobilità, ricchezza
d'immaginazione, e un concepir sempre vivamente e {quasi} sentire e vedere qualsivoglia menoma cosa che occorra di
nominare o di esprimere eziandio di passaggio e per accidente. {+Anche in ogni altra parte
dell'esecuzione, cioè nelle immagini ec. e nella vena degli affetti anche in
situazioni che per la invenzione sono patetichissime ec. Virgilio ne' sei ultimi libri è inferiore a se
stesso, che che ne dica Chateaubriand.}
{{V. p.
3717.}}