[3010,1] Or questa diversa e poetica inflessione e pronunzia
de' vocaboli correnti, che altro è per l'ordinario, se non inflessione e
pronunzia antica, usitata dagli antichi prosatori, nell'antico discorso, ed ora
andata in disuso nella prosa e nel parlar familiare? di modo che quelle parole
così pronunziate e scritte non altro sono veramente che parole antiche e
arcaismi, in quanto così sono scritte e pronunziate? nè altro è ordinariamente
dire inflessioni, licenze, voci poetiche se non arcaismi? Vedi in questo proposito una bella
riflessione di Perticari, Apologia, Capo 14. fine p.
131-2. Certo questa diversità d'inflessione per la più parte non è se
3011 non quello ch'io dico: così ne' poeti greci,
così ne' latini (più schivi però dell'antico, e quindi il loro linguaggio
poetico è assai meno distinto dalla lor prosa quanto a' vocaboli, che il greco),
così negl'italiani. Perocchè non è da credere che {la
inflession d'}una voce sia stimata, e quindi veramente sia, più
elegante o per la prosa o pel verso, perchè e quanto ella è più conforme
all'etimologia, ma solamente perchè e quanto ella è meno trita dall'uso
familiare, essendo però bene intesa e non riuscendo ricercata. (Anzi bene spesso
è trivialissima l'inflessione regolare ed etimologica, ed elegantissima e tutta
poetica la medesima voce storpiata, come dichiaro in altro luogo pp.
2075-76). E questo non esser trita, nè anche ricercata, ma pur bene
intesa, come può accadere a una voce, o ad una cotale inflessione della
medesima? Il pigliarla da un particolar dialetto {o
l'infletterla secondo questo} fa ch'ella non riesca trita
all'universale, ma difficilmente può far ch'ella e non paia ricercata e sia bene
intesa da tutti. {+Oltre ch'ella riesce
anche trita a quella parte della nazione di cui quel dialetto è
proprio.} In verità i dialetti particolari sono scarso sussidio e
fonte al linguaggio poetico, e all'eleganza qualunque. Lo vediamo noi italiani
in Dante, dove le
3012 le voci e inflessioni veramente proprie di dialetti particolari
d'italia fanno molto mala riuscita, nè la poesia
nostra, nè verun savio tra' nostri o poeti o prosatori ha mai voluto imitar Dante nell'uso de' dialetti, non solo
generalmente, ma neppure in ordine a quelle medesime voci e pronunzie o
inflessioni da lui adoperate. Circa l'uso e mescolanza de' dialetti greci nella
inflessione delle parole appresso Omero,
non volendo rinnovare le infinite discussioni già fatte da tanti e tanti in
questo proposito, solamente dirò che o le circostanze della
Grecia e d'Omero erano diverse da quelle che noi possiamo considerare, e quindi
per l'antichità ed oscurità della materia non potendo nulla giudicarne di certo
e di chiaro, niuno argomento ne possiamo dedurre; ovvero (e così penso) quelle
inflessioni che in Omero s'attribuiscono
a' dialetti, e da' dialetti si stima che Omero le prendesse, {o tutte o gran parte}
erano in verità proprie della lingua greca comune del suo tempo, o d'una lingua,
o vogliamo dir d'un uso più
3013 antico ancora di lui;
dalla qual lingua comune, o {{fosse}} più antica, o
allora usitata, Omero tolse quelle
inflessioni ch'egli si stima aver pigliato da questo e da quel dialetto
indifferentemente e confusamente. Non volendo ammetter nulla di questo, dirò che
in Omero la mescolanza de' dialetti dovè
riuscir così male come in Dante. Circa i
poeti greci posteriori, i quali tutti (fuor di quelli che scrissero in dialetti
privati, come Saffo, Teocrito ec.) seguirono interamente Omero, come in ogni altra cosa, così
nella lingua, e da lui tolsero quanto il loro linguaggio ha di poetico, cioè della sua lingua
formarono quella che si chiama dialetto poetico greco, ossia linguaggio poetico
comune, la questione non è difficile a sciogliere. Perocchè quelle inflessioni
ch'essi adoperavano, benchè proprie di particolari dialetti, essi non le
toglievano da' dialetti ma dal dialetto o linguaggio Omerico, di modo ch'elle
riuscivano eleganti e poetiche, non in quanto proprie di privati dialetti, ma in
quanto antiche ed Omeriche; ed erano bene intese
3014
dall'universale della nazione, nè parevano ricercate perchè tutta la nazione
benchè non usasse familiarmente nè in iscrittura prosaica le inflessioni e voci
Omeriche, le conosceva però e v'aveva l'orecchio assuefatto per lo gran
divulgamento de' versi d'Omero cantati
da' rapsodi per le piazze e le taverne, e saputi a memoria fino da' fanciulli.
{#1. V. p. 3041.}
Il che non accadde a' poemi di Dante, il
quale non fu mai in italia neppur poeta di scuola, come
Omero in
grecia presso i grammatisti medesimi, o certo presso i grammatici
(vedi il Laerz. del Wetstenio, tom. 2. p. 583. not. 5.); nè il dialetto o
linguaggio poetico italiano è o fu mai quello di Dante. Dico generalmente parlando, e non d'alcuni pochi
e particolari poeti, suoi decisi imitatori, come Fazio degli
Uberti, l'autore del Quadriregio
Federico Frezzi, ed alcuni
dell'ultimo secolo, come il Varano.
Neppur la lingua del Petrarca è quella
di Dante, nè da lui fu presa, nè punto
si serve de' particolari dialetti.