[3100,1] E tanto più quanto questo Eroe era un guerriero, e i
suoi pregi eroici il coraggio e valor dell'animo, e l'impresa una guerra.
Perocchè se ne' tempi moderni eziandio, poca o nulla è la gloria del vinto, e la
lode di quella guerra
3101 che non è terminata dalla
vittoria, molto più si deve stimare che così fosse appo gli antichi. Fra' quali
effettivamente l'esser vinto si teneva per ignominia, e il vincere in
qualsivoglia modo era gloria, non si considerando allora gran fatto altra
giustizia che quella dell'armi, altro diritto che della forza. Oltre che volendo
Omero nel suo poema (siccome poi
vollero gli altri epici) adombrar quasi un modello o un tipo di uomo superiore
al generale e maraviglioso, e scegliendo per tale effetto un guerriero, come
poteva egli farlo superiore agli altri uomini e singolarmente mirabile per le
virtù proprie della sua professione, s'ei non l'avesse fatto vittorioso? anzi
tale che niuno gli potesse resistere? Come poteva egli fare che questo Eroe
fosse vinto, cioè superato dagli altri in quelle virtù e qualità per le quali
egli intendeva di mostrarlo a tutti superiore e fra tutti unico, affine di
produrre la maraviglia, ed eseguire
3102 quel tipo di
compiuto guerriero ch'ei si proponeva? Non è della guerra come d'altre molte
imprese che possono venir fallite e mancare del loro intento a cagione di
ostacoli insuperabili all'uomo e di forze superiori alle umane. Ma la guerra è
dell'uomo coll'uomo, e quindi è forza il far vincitore colui che si vuol far
superiore agli altri uomini e singolare nella sua specie per le virtù guerriere.
Chi cede nella guerra, cede all'uomo, cosa che oggidì potrà essere scusata ma di
rado lodata; fra gli antichiss. non che lodata, era pur di rado scusata, e
generalmente spregiata com'effetto o di viltà o di debolezza, la quale, sebbene
involontaria, era poco meno spregiata della viltà, come lo sono anche oggidì
proporzionatamente e la debolezza e tanti altri difetti degl'individui o delle
nazioni, esteriori o interiori, che non dipendono dalla volontà di chi n'è il
soggetto. Dico che la guerra è
3103 dell'uomo
coll'uomo, sebbene Omero c'intramette
anche gli Dei. Ma questa finzione era per abbellire e non per alterare la natura
della guerra eccetto in alcune parti poco essenziali. Come quando s'introduce
Achille alle prese col Csanto. Nel
qual caso, non essendo la battaglia d'uomo con uomo, ma colla superior potenza
di un Dio, Omero non si fa scrupolo
d'introdurre Achille chiedente aiuto e
fuggente, nè stima che questo tolga alla sua superiorità, perch'ei lo vuol far
superiore agli uomini non agli Dei, e vittorioso nella guerra de' mortali, non
degli Eterni. E infatti l'intervento degli Dei, come non doveva (volendo
conservare il buono effetto) alterare, così {effettivamente} non altera appresso Omero la sostanza della guerra umana.