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[3103,1]  Conveniva dunque che l'Eroe e la nazione presa da Omero a celebrare fossero fortunati e vittoriosi, massimamente aggiungendosi alle  3104 predette considerazioni generali questa particolarità che l'Eroe da Omero celebrato era greco, e la nazione era la greca, cioè quella alla quale egli cantava e a cui egli apparteneva, e la guerra era stata contro i Barbari. Molto conveniente cosa, pigliare per soggetto del poema epico le lodi e le imprese della propria nazione e una guerra contro i perpetui e naturali nemici di lei, ciò erano i Barbari. Cosa che raddoppiava, anzi moltiplicava l'interesse del poema, siccome accade nella Lusiade, siccome ancora nell'Eneide ec. Onde Isocrate pensa che gran parte della celebrità di Omero e della grazia in che sempre furono i suoi poemi appo i greci, derivi dal patriotismo de' medesimi {poemi} e dalle battaglie e vittorie contro i Barbari, che in essi sono celebrate. (Vedilo nel Panegirico, edizione del Battie Isocr. Oratt. 7. et epistt. Cantabrig. 1729. p. 175-6.) Or come poteva Omero fingere o narrar perditori  3105 la sua nazione e un Eroe della medesima, e ciò in una guerra contro i Barbari? Il che tra gli antichi sarebbe stato tanto più assurdo che tra i moderni, quando anche le lodi e l'interesse del poema fossero stati tutti per li greci, e quando anche, fingendoli sventurati, Omero avesse mosso le lagrime e i singhiozzi sopra le loro sciagure, sarebbe tuttavia riuscito assurdo di maniera, che sarebbe eziandio stato pericoloso al poeta. Frinico ateniese, gran tempo dopo Omero, fece suggetto di una tragedia la presa di Mileto fatta da Dario, e mosse gli uditori a pietà sopra quella sciagura dei greci per modo, che, secondo l'espressione di Longino (sect. 24.) tutto il teatro si sciolse in lagrime. Gli Ateniesi lo multarono in mille dramme (Plut. politic. praecept. Strabo 1. 14. {+Schol. Aristoph. Vesp.)} perch'egli avea rinfrescato la memoria delle domestiche calamità e ripostele sotto gli occhi rappresentandole al vivo (Herodot. l. 6. c. 21.);  3106 di più vietarono {con decreto} che quella tragedia fosse più recata sulle scene (Tzetz. Chil. 8. (alibi reperio 7.) hist. 156.): anzi secondo Eliano (Var. l. 13. c. 17.), lagrimando, lo cacciarono dal teatro esso stesso che stava rappresentando la sua propria tragedia. (V. Fabric. B. G. in Catal. Tragicorum, Meurs. Bibl. Att. Bentley Diss. ad Ep. Phalar. p. 256.) {{v. p. 4078.}}