[3137,2] Ma l'unico modo che v'aveva d'introdurre questo
interesse nel poema epico, quello, dico, usato da Omero nell'iliade, cioè di duplicare
onninamente l'Eroe, l'interesse e lo scopo poetico di tutta l'epopea, non
solamente
3138 dagli Epici posteriori ad Omero non fu voluto abbracciare, ma fu
sopra tutte l'altre cose fuggito, come quello che dirittamente avrebbe esclusa
quella unità d'interesse, di scopo e d'Eroe, che quei poeti e i Dottori de' loro
tempi e de' nostri, davano per primaria e supremamente indispensabile qualità
del poema epico: la unità, dico, non quale è quella della iliade,
dalla quale pur furono tratte le regole, le norme e il tipo dell'epopea, ma
quale i posteriori ingegni metafisicamente sottilizzando, e troppo
artisticamente e strettamente considerando, la concepirono, determinarono e
prescrissero. Ond'è che quantunque in ciascuno de' nominati poemi epici
v'abbiano molte sventure cantate, ed avendovi una parte vittoriosa e felice,
v'abbia altresì necessariamente una parte soccombente e sfortunata, si
guardarono però bene tutti i detti poeti di farci piangere sopra questa
sventura, come aveva fatto Omero; e di
condurre il poema in modo che
3139 all'ultimo la
vittoria della parte avventurosa, benchè {sempre}
desiderata e {allora} applaudita dal lettore, fosse nel
tempo medesimo cordialmente da lui pianta e lagrimata, destandosi così nel suo
animo sì pel corso del poema, sì massimamente nel fine, e durando in esso dopo
la lettura quel vivo contrasto di passioni e di {sentimenti,} quella mescolanza di dolore e di gioia e d'altri
similmente contrarii affetti che dà sommo risalto agli uni e agli altri, e ne
moltiplica le forze, e cagiona nell'animo de' lettori una tempesta, un impeto,
un quasi gorgogliamento di passioni che lascia durevoli vestigi di se, e in cui
principalmente consiste il diletto che si riceve dalla poesia, la quale ci dee
sommamente muovere e agitare e non
già lasciar l'animo nostro in riposo e in calma. Questi mirabili effetti li
produsse divinamente la iliade, costringendo gli {uditori} greci a piangere sulla morte e sui funerali di
Ettore ucciso
dalle armi de' loro
3140 maggiori, in guerra, per loro,
giusta, e con giusta causa (cioè la vendetta di Patroclo), e a mescolare i loro lamenti con quelli di
Andromaca e
della desolata città nemica, già vicina all'ultima calamità, che, per così dire,
le loro proprie armi o i loro proprii eserciti gli avevano infatti recata.
Sublimissimo effetto concepito, disegnato e prodotto da Omero in tempi feroci e semibarbari, e non saputo
concepire nè produrre da verun altro epico in tempi civili. Perocchè temendo di
raddoppiar l'interesse, (ch'era appunto ciò che avevano a fare, e senza il che
non era possibile quel divino effetto), evitarono espressamente e studiosamente
di fare in modo che la parte nemica o alcun personaggio di essa riuscisse più
che tanto virtuoso o per qualunque lato interessante sino al fine. E
maggiormente si guardarono di sempre ugualmente condurre e in ultimo annodare le
fila della loro epopea tanto all'esito
3141 dell'Eroe
vittorioso quanto a quello di un altro Eroe a lui per molti lati pari e seco lui
compensabile e comparabile ma soccombente. Come fece Omero, perchè nell'iliade
Ettore è, e fu
voluto rappresentare, espressamente comparabile ad Achille.