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[3147,1]  Quello spirito dell'italia e dell'europa Cristiana verso gl'infedeli (e, diciamolo ancora, verso il Cristianesimo) che disopra ho descritto, che regnò al tempo del Tasso e ne' precedenti, che in lui ancora grandemente potè, che ispirò e produsse la Gerusalemme, è totalmente sparito e perduto, e le nostre condizioni a questo riguardo sono affatto cangiate in tutta l'europa. Nullo è dunque oggidì l'interesse della Gerusalemme. Dico che la Gerusalemme non ha più realmente veruno interesse finale e principale, cioè non ispira più quell'interesse ch'ella principalmente e per istituto si propone d'ispirare; perocchè esso non ha più luogo negli animi de' lettori, affatto cangiati come sono, nè può più nascere in alcuno quell'interesse, essendo mutate e quasi volte in contrario le circostanze. Benchè certo la Gerusalemme al suo tempo ispirò moltissimo interesse, e forse maggiore che l'Eneide al tempo suo, ed oltre di questo universale nelle colte nazioni,  3148 dove quello dell'Eneide non potè esser che nazionale. Nè certo la Gerusalemme mancò del suo fine. Ma ora non per tanto non può più produrlo. Interessi però episodici e non finali ve n'hanno molti nella Gerusalemme. V'ha quello di Olindo e Sofronia e nasce dalla sventura. V'ha quello di Erminia, quello di Clorinda, e nascono dalla sventura. V'ha quello del Danese, e nasce dalla sventura, e, quel ch'è notabile, da sventura toccante alla stessa parte che aveva a {riuscir} vittoriosa e fortunata, cioè a dire alla Cristiana. Colla quale occasione è da considerare la bella e straordinaria facoltà che {concedeva} al Tasso lo spirito del suo tempo, cioè di congiungere la compassione alla felicità, di far nascere questa da quella, di salvar l'{estrema} unità che si esigeva ne' poemi epici pigliando un Eroe felice e facendolo non per tanto compassionevole. Alleanza impossibile anticamente, difficile e di poco buono effetto oggidì. Ma le opinioni Cristiane (che al suo tempo fiorivano) riponendo  3149 la felicità propria dell'uomo nell'altra vita, facendola indipendente da quella di questo mondo, considerando le sventure {temporali} come vantaggi e reali fortune, insegnando massimamente esser felicissimo chi soffre per la giustizia e per la fede e per Dio, e più chi muore per loro amore e cagione, davano luogo al Tasso di rappresentare come felice e come giunto al suo desiderio e scopo un personaggio, il quale, facendolo temporalmente sventurato e nelle sventure magnanimo ec, poteva pur fare sommamente compassionevole e tenero. Nè altrimenti egli si governò circa il Danese, il quale ei non diede {{già}} per infelice, ma per felicissimo veramente, essendo morto, e generosamente morto per Dio, e nel tempo stesso il volle fare e il fece oggetto di compassione e di tenerezza per la temporale sventura e per questa morte fortemente incontrata e sostenuta. Ma ei non si volle prevalere di tal facoltà nè di tali opinioni e disposizioni del suo tempo, se non quanto a personaggi secondarii (come questo e Dudone)  3150 e in episodii; e l'eroe principale volle farlo felice non solo eternamente ma temporalmente altresì, e la principale impresa volle che bene uscisse non pure secondo il cielo, ma eziandio secondo la terra. Nel che non m'ardisco però di riprendere il suo giudizio, nè so biasimarlo s'ei credette che i dogmi metafisici (e poco conformi, anzi contrarii alla natura e che troppa forza le fanno) non dovessero gran fatto influire sulla poesia, nè potessero molto giovare a produr con essa un buono, bello e splendido effetto. Siccome essi poco veramente influivano, anche al suo tempo, sopra le azioni e le quasi secondarie opinioni degli uomini; nè valsero in alcun tempo a cangiare la natura umana, alla quale dee mirare in ogni tempo il poeta. In verità due sorti di opinioni e di dogmi, l'una dall'altra distinta, e che quasi nulla comunicavano insieme, {tenevano} all'età del Tasso e ne' secoli a lei precedenti gl'intelletti degli uomini. L'una Cristiana, l'altra naturale; quella quasi del tutto inefficace  3151 e inattiva, la cui forza non si stendeva fuori dell'intelletto e ne' termini di questo si restringeva la sua esistenza; l'altra efficace attiva che dall'intelletto stendevasi a influire e muovere la volontà, e governare le operazioni e la vita. Perocchè gli uomini sono sempre mossi dalle opinioni, nè altro che le opinioni può cagionare le loro azioni volontarie, nè v'ha opera umana volontaria che dalla opinione, ossia giudizio dell'intelletto, non derivi. Ma l'intelletto umano è capace di contenere al tempo stesso opinioni e dogmi dirittamente fra se contrarii, e di contenerli conoscendone la scambievole, inconciliabile contrarietà, come accadeva ai detti tempi. Ben diversi dalla primissima età del Cristianesimo, quando un solo genere di opinioni regnava negli animi, cioè quelle della religione, ed era efficace, e stendevasi alla volontà ed al reggimento delle azioni interiori ed esteriori, e della vita. Ma questo durò assai meno di quel che può credere  3152 chi non conosce la storia ecclesiastica, o chi non ci ha riflettuto, o chi in essa si lascia imporre dai nomi, e dal linguaggio tenuto in narrarla. Durò pochissimo, o, se non altro, divenne in breve assai raro. Del resto egli è duopo distinguere in ciascuna età, nazione, individuo le opinioni efficaci dalle inefficaci che nell'intelletto puramente si restringono. Quelle talor possono servire alla poesia, talora non possono (come le presenti, e vedi la pag. 2944-6. ), talor più, talora meno; queste sempre pochissimo o nulla. {+Parlo delle opinioni che in se hanno relazione alla pratica e al governo della vita, non dell'altre, che son fuori del mio discorso. P. e. quelle opinioni, illusioni ec. antiche o moderne che derivando dalla immaginazione {o dall'esperienza ec.} persuasero e occuparono, o persuadono ec. l'intelletto, e nondimeno, non avendo nulla che far colla pratica della vita per lor natura, non influiscono sulla volontà, e sono inefficaci, e queste possono però, ed anche grandemente, servire alla poesia.}