[3565,1] Or dunque non potendo quasi la prosa ebraica usar
parola che {non} formicolasse di significazioni, essa
doveva necessariamente riuscir poetica e per la moltiplicità delle idee che
doveva risvegliare ciascuna parola, (cosa poetichissima, come altrove ho detto
pp. 109-10
pp. 1701-706
pp. 2005-2007); e perchè essa parola non poteva dare ad intendere il
concetto del prosatore se non in modo vago e indeterminato e generale come si fa
nella poesia; e perchè quasi tutte le cose, eccetto pochissime si dovevano
esprimere con voci improprie e traslate (ch'è il modo poetico); cosa che in
tutte le lingue intravviene, rigorosamente parlando, ma non si sente, se non
alcune volte, la traslazione, perchè l'uso l'ha trasformata, quasi o del tutto,
in proprietà; laddove ciò non poteva aver fatto nella lingua ebraica, la qual se
toglieva a una parola il significato proprio in modo che il traslato divenisse
padrone e paresse proprio esso, al vero proprio che cosa poteva restare in tanta
povertà?
3566 sentivasi dunque sempre, anche nella
prosa ebraica, la traslazione, perchè la voce, insieme co' sensi traslati,
riteneva il proprio. Tale pertanto essendo la lingua {destinata alla prosa,} necessariamente anche lo stile {del prosatore} doveva esser poetico, siccome per la
contraria ragione i primitivi poeti latini italiani ec. non trovando nella
lingua voci poetiche, furono necessitati a tenersi in uno stile che avesse del
familiare, come altrove ho detto pp. 1808-15
pp. 2836-41
pp. 3014-17.