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[3778,1]  Stante la natura generale de' viventi, e massime quella dell'uomo in particolare, una società stretta, {+la quale è cosa dimostrata che necessariamente produce tra gli uomini la disudsuguaglianza di mille generi e intorno a mille beni e mali,} non può a meno di eccitare e di mettere in movimento, com'ella fa in effetto, le passioni dell'invidia, dell'emulazione, della gara, della gelosia, conseguenze necessarie, o piuttosto specie e nuances dell'odio verso gli altri, naturale ad ogni essere che ami naturalmente se stesso. Or qual cosa è più antisociale di queste passioni? Elle non avrebbero avuto luogo nella società scarsa e larga destinataci dalla natura, il cui uffizio sarebbesi limitato al vero fine d'ogni società, quello di soccorrersi scambievolmente ne' bisogni (che in natura son pochi), e massime in quei bisogni (che sono anche meno) i quali esiggono la cospirazione di più individui, come sarebbe il difendersi dagli altri animali nemici, al qual effetto anche gli animali meno socievoli, si riuniscono e fanno tra loro una società temporanea, che dura quanto il pericolo, come i cavalli si stringono insieme in una ruota, ove ciascuno resta co' piedi di dietro al di fuori, per difendersi dal lupo, ec. Le dette passioni,  3779 ripeto, non avrebbero avuto luogo, sì per la poca strettezza di quella società, sì perchè in essa e nello stato naturale dell'uomo, i vantaggi naturali dell'uno individuo sull'altro sarebbero stati pochi, rari, e piccoli, e i sociali non vi sarebbero stati affatto. La disuguaglianza tra gli uomini che la società rende naturalmente somma e di mille generi, sarebbe stata quasi nulla, e limitata a ben poche cose. Infatti fra gli altri animali, fra cui la società è scarsa, la disug̃lianza[disuguaglianza] fra gli individui è rara e sempre scarsissima; così i vantaggi degli uni sugli altri. Quindi le dette passioni, che sono necessariamente suscitate da' vantaggi e dalla disuguaglianza ch'è inevitabilmente prodotta da una società stretta, sono fra gli altri animali rarissime e debolissime. E quelle che nascono dall'orgoglio naturale di ciascheduno individuo, necessariamente punto ed afflitto e molestato dal comando, dalle dignità, dalle preminenze qualunque, dalla stima e dalla gloria degli altri individui della stessa specie e compagnia, non avrebbero avuto luogo nella società scarsa in modo alcuno, nè l'hanno tra gli animali i più socievoli, perchè nè in quella si sarebbero trovati, nè fra questi si trovano gli oggetti che le suscitano, anzi neppur l'idea loro, non che il desiderio. E quanto al comando, se ve n'ha vestigio alcuno tra gli animali, come tra le api, tra' buoi, tra gli elefanti (v. Arriano Indica), esso viene da superiorità di natura e quasi di specie, intorno a cui non ha luogo invidia nè emulazione; come le pecore non possono invidiare al montone che le conduce e quasi governa perch'egli è di sesso più forte, nè le donne invidiano agli uomini la loro maggior fortezza, nello stesso modo che noi non l'invidiamo al leone. Oltre di che il comando  3780 e qualunque specie di preminenza fra gli animali, come dalla natura fu posta, così da tutti gli altri individui soggetti è sempre riconosciuta per utile a tutti loro, {+ed utile non solo in potenza non solo in destinazione, ma in atto e in effetto continuamente,} e come a tale essi vi si soggettano naturalmente, non pur senza la menoma ripugnanza, ma con piacere, e molto si dolgono s'ella, per qualche accidente, vien loro a mancare, come alle api il re ec. Ma in una società stretta, massime umana, è d'inevitabile necessità che abbiano luogo tutte le dette preminenze, come altresì è necessario ch'elle sempre offendano grandemente l'orgoglio naturale degli altri individui. E fra esse preminenze è d'indispensabile necessità che v'abbia luogo il comando, e questo fra gli uomini non può esser effetto di superiorità di natura o di specie, ma è necessario che l'uguale per natura, sia signor degli uguali. E il comando e la soggezione fra gli uomini è incontrastabilmente inevitabile che sebbene utili per istituto, il più delle volte sieno anzi dannosissime in effetto a chi ubbidisce e sottosta[sottostà], e per tale siano riconosciute da loro, seguendone naturalmente {un'invidia e} un odio sommo verso chi comanda; odio antisocialissimo, massimamente che il comando è necessario, ec. Ed è ancora inevitabile che non di rado, (anzi quasi sempre), il comando e la signoria per l'origine medesima e per istituto sieno dirette al danno de' sottoposti ed al solo bene de' signori: come sono le signorie acquistate per viva forza o per arte, contro il volere e l'intenzione de' subbietti, le quali si chiamano tirannie. E certo è che tutti o la più parte de' principati passati e presenti hanno avuto principio dalla forza o dall'artifizio, e che tutti i troni d'europa  3781 si possono, genealogizzando, far risalire a queste radici. Insomma, com'egli è cosa certissima che tutto il mondo è il patrimonio della forza (sia fisica, cioè vigore, sia morale, cioè ingegno, arte ec. ch'è tutt'uno), e ch'egli è fatto per li più forti, ne segue che in una società stretta, inevitabilmente, qualunque forma se gli possa mai dare, i più deboli individui denno essere, furono sono e saranno la preda, la vittima, il retaggio de' più forti. Onde non si può assolutamente dare, molto meno fra uomini, una società stretta, che ottenga il fine della società, cioè il ben comune {degl'individui che la compongono,} ed il cui risultato sia il {detto} ben comune. Senza di cui la società non può avere ragione alcuna. In una società larga i più forti non hanno nè mezzo nè occasione nè desiderio nè stimolo alcuno di esercitare e porre in opera la superiorità delle loro forze sopra gl'individui di essa società, se non solamente alcuna volta per accidente, in modo scarso e passeggero. Ciò ch'ei si propongono di ottenere, non è a spese della lor società, nè di alcuno de' suoi individui; esso è fuori di lei; la lor società è troppo scarsa perchè alcuno possa farci sopra dei disegni, e riporre la sua felicità in beni dipendenti o appartenenti in alcun modo alla medesima società, di cui appena si avveggono di esser parte, e che loro è, per così dire, fuori degli occhi, e quindi anche del pensiero, almeno il più del tempo. ec. I lupi fanno società per attaccare un ovile, ma i disegni ch'  3782 essi formano sì nel tempo di questa passeggera società, sì nel resto, e i vantaggi che essi, e tra essi massimamente i più forti, si propongono di ottenere, non sono sopra gli altri lupi, ma sopra le pecore. Se poi nella division della preda, nasce fra loro qualche discordia, e se in questa i più forti hanno il più, queste son cose accidentali e poco durevoli, e che non lasciano ne' più deboli alcun rancore, perchè la società subito si discioglie, sicchè l'effetto della discordia si limita a quei pochi momenti, e in ultimo è maggior l'utile che quei lupi hanno riportato da quella società, senza cui non avrebbero penetrato l'ovile, e maggior l'utile che i più deboli hanno ricevuto da' più forti che han combattuto più di loro ec., di quello che sia il danno che quei lupi hanno riportato da tal discordia, e i più deboli da' più forti. Ma tutto l'opposto accade nelle società umane: dove i più forti non servono ad altro che a far male ai più deboli e alla società, e la superiorità qualunque di forze è sempre dannosa altrui, perchè sempre (almeno oggidì, e per lo passato il più delle volte) adoperata in solo bene di chi la possiede.