[385,1] 2o. E tanto è miser l'uom quant'ei si
reputa,
*
e tanto è beato quant'ei si reputa. Così
tanto è soddisfatto il desiderio di conoscere o concepire, dalla credenza di
conoscere, quanto dalla vera conoscenza, e la verità assoluta è totalmente
indifferente all'uomo anche per questo capo. Anzi il desiderio infinito di
concepire può ben essere in qualche modo e spesso appagato dalla natura col
mezzo della immaginazione {e delle persuasioni false ossiano
errori;} ma non mai dalla ragione col mezzo della scienza, nè dai
sensi col mezzo degli oggetti reali. Che se l'uomo avesse questa tendenza
infinita non al concepire, ma precisamente al conoscere, cioè al vero, perchè la
natura avrebbe posto tanti ostacoli a questa cognizione necessaria alla sua
felicità? {Perchè avrebbe radicate nella sua mente
tanto[tante] illusioni che appena il
sommo incivilimento, e abito di ragionare, può estirpare, e non del
tutto?} Perchè la verità sarebbe così difficile a scoprire? Da che
l'uomo tende infinitamente alla precisa cognizione, nessuna verità è
indifferente per lui.
386 Non solo la cognizione delle
verità religiose, morali ec. ma di qualunque verità fisica ec. ec. diviene
necessaria alla sua felicità. Ora quando anche si voglia supporre che l'uomo
primitivo avesse mezzi sufficienti per conoscere le verità religiose e morali,
(come par che supponga il nostro
libro) è certo che non gli ebbe per infinite altre, è certo che infinite
se ne ignorano ancora, che infinite se ne ignoreranno sempre, che la massima
parte degli uomini è (tolto nella religione rivelata) ignorante quanto i
primitivi, che i fanciulli lo sono parimente, {anche quanto
alla religione.} È certo che quantunque l'uomo conosca Dio ch'è
infinito, non lo conosce nè lo può conoscere infinitamente (come neanche amare,
quantunque l'autore presuma che la nostra facoltà di amare sia infinita, essendo
infinito il desiderio); anzi limitatissimamente. Dunque la sua cognizione non è
infinita; dunque se la sua facoltà di conoscere è infinita, manca del suo
oggetto, e perciò della sua felicità. Dunque l'uomo non può esser felice: dunque
ripeterò coll'autore, egli è un essere contraddittorio, perchè
avendo un fine, cioè la perfezione o la felicità, non ha alcun mezzo
di pervenirvi
*
. E le illusioni che la natura ha
poste saldissimamente in tutti noi,
perchè ce le ha poste? Per contendergli espressamente la sua felicità? E se
l'ignoranza è infelicità, perchè l'uomo esce dalle mani della natura, così
strettamente infelice? In
387 somma le assurdità sono
infinite quando non si vuol riconoscere che l'uomo esce perfetto dalle mani
della natura, come tutte le altre cose; che la verità assoluta è indifferente
all'uomo (quanto al bene, ma non sempre, anzi di rado, quanto al nuocergli); che
lo scopo della sua facoltà intellettiva, non è la cognizione, in quanto
cognizione derivata dalla realtà, ma la concezione, o l'opinione di conoscere,
sia vera, sia falsa. Che vuol dire che gl'ignoranti in luogo di esser più
infelici, sono evidentemente i più felici?