[4349,1] Quanto alle letterature moderne in cui la poesia
precedè la prosa, come l'italiana e l'inglese, la ragione di ciò è d'un altro
genere. E prima bisogna distinguere. Se si tratta di versi e di prose qualunque,
il fatto non è vero. Noi abbiamo prose, anche di quelle destinate e fatte perchè
durassero, e che compongono una qualunque letteratura; abbiamo croniche (Ricordano, Dino ec.),
leggende ec., tanto antiche quanto i nostri più antichi versi; o sarà ben
difficile il provare ne' versi un'anteriorità. Se si tratta di classici, certo
Dante p. e. precedette ogni nostro
classico prosatore. La ragione è che le lingue moderne in principio
4350 furono credute inette alla letteratura. E ciò è
naturale: prima ch'esse fossero colte, la letteratura era considerata risiedere
nella lingua colta, in quella lingua semimorta e semiviva, in cui sola si
avevano buoni libri e dottrine. {+V. p. 4372.} Quindi i
prosatori che aspiravano ad esser colti, scrivevano nella lingua colta, benchè
diversa da quella ch'essi parlavano. Ma il poeta ha bisogno di esprimere i suoi
sentimenti nella lingua nella quale egli pensa, e trova ogni altra lingua
incapace di renderli. Si dice che Dante per compor la {D.} Commedia
tentasse prima il latino, ma dovè poi naturalmente ridursi al volgare. Del Petrarca è noto. Ma essendo allora comune
l'uso della scrittura, la prosa colta non poteva star troppo a tener dietro alla
colta poesia. Il Boccaccio fu pochi anni
dopo Dante, e solo più giovane del Petrarca; dove che le prime prose culte
che si vedessero in Grecia, non si videro che 400 anni
dopo l'epoca omerica. Nè questa era stata forse la prima che producesse alla
Grecia delle poesie culte. Anzi tutto persuade il
contrario. Quum
Homerica dictio longe longeque reducta sit ab eo sono, quem in infantia
gentium horror troporum et imaginum inflat, atq; in verbis et
locutionib. castigata admodum, aequabili verecundoque tenore suo quasi
praenunciet pedestrem dictionem proxime secuturam, quam tamen amplius
tria saecula a nemine tentatam reperimus
*
(il Wolf pone Om. 950 an. av. G. C. {+V. p.
4352. capoverso 2.)}; ita mea fert opinio, ut non cultum ingeniorum, sed alia quaedam
maximeq. difficultatem scribendi arbitrer in mora fuisse, quo minus
poëticam prosa eloquentia tam celeri, quam natura ferret gradu
sequeretur
*
. (Wolf, §.
17. p. lxxii-ii.)
(21-22. Agos. 1828.). {{V. p. 4352.
princ.}}