[690,2] Quanto alla lingua moltissimi disconvengono da questo
ch'io dico, volendo che il suo vero secol d'oro, fosse il trecento. Ma
osservino. Quasi tutti gli scrittori del cinquecento, toscani o non toscani,
hanno bene e convenientemente
691 adoperata la nostra
lingua, e tutti più o meno possono servire di norma al bello scrivere, e sarebbe
ammirato e studiato uno scrittore d'oggidì che avesse tanti pregi di lingua
quanto l'infimo de' mediocri scrittori di quel tempo. Questo è ben altro che
ammirare la felicità della francia dove tutti appresso a
poco scrivono bene quanto alla lingua. Considerate quello che ho detto altrove
p.
324
pp.
685-90 del sommo divario fra la nostra lingua e la francese, e non vi
parrà poca meraviglia che una lingua così difficile, varia, ricca, immensa,
{pieghevole e} subordinata allo scrittore, come
l'italiana, trovasse un secolo, dove tutti o la massima parte la scrivessero
bene, e questo in ogni sorta di soggetti e di stili, in ogni qualità di
scrittori, e anche in quelle cose che si scrivevano e si scrivono correntemente
e senza studio, come lettere e cose tali, dove il cinquecento è sempre quasi
692 perfetto modello della buona lingua italiana a tutti
i secoli. Diranno che anche nel trecento accadeva lo stesso. Voglio lasciar
passare questa proposizione, che ben considerata parrà forse falsissima. Ma
supponendo che sia verissima, che maraviglia che scriva bene, chi in questo
medesimo, che egli scrive, porta inseparabilmente la ragione dello scriver bene?
Giacchè noi diciamo che i trecentisti scrivevano bene, perciò appunto ch'erano
trecentisti; e indistintamente tutto quello ch'è del trecento, o imita e
somiglia la scrittura di quel secolo, si approva e si dice bene scritto, perchè
appartiene al trecento. E si dà a quel secolo autorità di regolare il nostro
giudizio intorno alla bella lingua italiana, non a noi di giudicare se quel
secolo usasse una bella lingua. Io so e dico che la usava bellissima, e do
ragione e lodo quelli che colle debite restrizioni e condizioni fanno degli
scrittori del trecento i modelli
693
{o il fondamento e la sorgente} della buona lingua
italiana di tutti i secoli. Quest'autorità l'hanno avuta tutti i padri di tutte
le buone e belle lingue (come della latina ec.): e l'hanno avuta non già per
capriccio o pregiudicata opinione de' successori, ma per la forza della natura
che operava in quei padri effettivamente, e perchè la natura è la massima fonte
del bello. Ma non perciò le dette qualità derivavano in quei padri da merito
loro, nè essi ponevano (eccetto pochissimi) veruno studio alla bellezza e
all'ordine della lingua. Nel modo che Omero certamente non sudava per seguire e praticare le regole del
poema epico, le quali non esistevano, anzi sono derivate dal suo poema, e quella
maniera ch'egli ha tenuto è poi divenuta regola. Ma Omero come ingegno sovrano ch'egli era, studiava la
natura {e gli uomini e il bello} per creare le regole
che ancora non esistevano: laddove i trecentisti erano quasi tutti uomini da
poco e ignorantissimi, e scrivevano quello che veniva loro nella
694 penna. E quanto è venuto loro nella
peña[penna], tanto si è giudicato che
fosse il più bel fiore della nostra lingua, non dico ingiustamente, ma certo
senza merito loro. {V. p. 705.}
Aggiungete che fuori de' Toscani, pochissimi in quel secolo scrivevano la lingua
nostra in modo che si potesse sopportare, all'opposto del cinquecento dove tutta
l'italia scriveva correttamente e leggiadramente,
così che il trecento, quando anche non valessero le suddette ragioni, non si
potrebbe riputare il migliore della nostra lingua, nè paragonare al cinquecento
se non quanto alla Toscana.