[743,1] La lingua greca nel tempo in cui ella pigliava forma,
consistenza, ordine, e stabilità (giacchè prima o dopo questo tempo la cosa non
avrebbe avuto lo stesso effetto) non ebbe uno scrittore nel quale per la copia,
varietà, importanza, pregio e fama singolarissima degli scritti, si riputasse
che la lingua tutta fosse contenuta. L'ebbe la lingua latina, l'ebbe appunto nel
tempo che ho detto, e l'ebbe in Cicerone. Questi per tutte le dette condizioni, per l'eminenza del suo
ingegno, e lo splendore
744 delle sue gesta, del suo
grado, della sua vita, e di tutta la sua fama, per aver non solo introdotta ma
formata {e perfezionata} non solo la lingua, ma la
letteratura, l'eloquenza, la filosofia latina, trasportando il tutto dalla
grecia, per essere in somma senza contrasto il primo
il sommo letterato e scrittore latino in quasi tutti i generi, soprastava tanto
agli altri, che la lingua latina scritta, si riputò tutta chiusa nelle sue
opere, queste tennero luogo di Accademia e di Vocabolario, l'autorità e
l'esempio suo presso i successori, non si limitò ad insegnare, e servir di norma
e di modello, ma, come accade, a circoscrivere; la lingua si riputò giunta al
suo termine; gl'incrementi di essa si stimarono già finiti; si credè giunto il
colmo del suo accrescimento; si temè la novità; si ebbe dubbio e scrupolo di
guastare e far degenerare in luogo di arricchire; le fonti della ricchezza della
lingua si stimarono chiuse. ec. E così Cic. fra gl'infiniti benefizi fatti alla sua
745 lingua, gli fece anche indirettamente per la troppa superiorità e
misura della sua fama e merito, troppo soverchiante e
primeggiãte[primeggiante], {questo danno} di
arrestarla, come arrivata già alla perfezione, e come in pericolo di degenerare
se fosse passata oltre: e quindi togliergli l'ardire, la forza generativa, e
produttrice, la fertilità, e inaridirla. Nello stesso modo che avvenne alla
eloquenza e letteratura latina, per lo stesso motivo, e per la stessa persona
(v. Velleio nel fine del 1.mo libro). Che siccome per {la letteratura} si stimò quasi giunta l'ora del riposo,
tanto egli l'aveva perfezionata {+(v. p. 801. fine.} (cosa che
non accadde mai nella grecia, giacchè a nessuno scrittore
in particolare competeva questa qualità, e la perfezione di un secolo il quale
s'intreccia e addentella col seguente, non ispaventa tanto quanto quella di un
solo, che in se stesso racchiude e definisce e circoscrive la perfezione) così
appunto intervenne anche alla lingua, la quale similmente,
746 come già matura e perfetta, cessò di crescere è[e] isterilì. Questa può essere una ragione. Quest'altra mi
sembra la principale.