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[844,1]  Dall'applicazione di questi principii alle lingue moderne, passiamo alle lingue antiche. Che la forma e struttura di una lingua fosse così ragionevole, così conforme alla stretta verità ed ordine delle cose, come lo può essere in qualche lingua moderna, non era possibile fra gli antichi, dove regnava molto più l'immaginazione, che la secca e infelice ragione. Non bisogna dunque nelle ragioni della universalità di una lingua antica, ricercar troppa conformità, con quelle che richiedonsi allo stesso effetto in una lingua moderna. Una lingua antica poteva essere adattata alla universalità fino a un certo segno, e conseguirla, ma non mai quanto una moderna. La lingua greca sebbene più figurata non solo della francese, ma della italiana (dico della italiana che non pecchi di troppa, e a lei non naturale conformità col latino andamento, come peccò alle volte nel 500. al contrario  845 del 300, e della sua vera indole) contuttociò era nella sua primitiva qualità, di una forma, se non ragionevole, naturalissima però, e semplicissima, e facilissima. Sino a tanto ch'ella mantenne il suo vero genio, mantenne anche queste proprietà. Le mantenne in Erodoto, in Senofonte, negli Oratori Attici, e generalmente {più o meno} in tutti gli scrittori degli ottimi suoi secoli {sempre appresso a poco, in proporzione dell'antichità rispettiva.} Gli scrittori che successero a questi, benchè buoni ancor essi, benchè lontani dalla turgidezza, dall'arguzia, dalla decisa oscurità, dalla soverchia intralciatura, dalla immodestia dello stile e della lingua, allontanarono però moltissimo la lingua greca, da quella nativa, nuda, schietta, spontanea, facile bellezza e grazia de' suoi ottimi e primi scrittori, e sforzarono la sua primitiva natura ed indole, accostandola piuttosto alla struttura latina, che alla propria sua. Questo si nota in Polibio, in Dionigi d'Alicarnasso, ma molto più ne' susseguenti, come in Luciano, molto più e soprattutto in Longino. Scrittori elegantissimi,  846 di eleganza non affettata, non impura, non corrotta, non malsana, ma diversa da quella semplicissima eleganza dell'antica lingua greca, e se non contraria e ripugnante, certo rimota dall'indole e dal costume suo primitivo: nello stesso modo che si può dire di alcuni cinquecentisti modellatisi forse troppo sui latini, e non perciò corrotti, nè affettati, nè ripugnanti all'indole della lingua italiana, ma diversi dal di lei primitivo costume manifestato nei trecentisti; appresso i quali la lingua italiana, come somiglia moltissimo nell'andamento alla greca, così ebbe poi a patire quella stessa, benchè {per se medesima} non cattiva, diversificazione che patì, come ho detto, la lingua greca; e come questa, cessare appoco appoco da quella parità di linguaggio ch'era tra gli scrittori e la nazione, nell'una e nell'altra lingua, come della greca lo dirò poi. Di facilissima ch'era l'antica scrittura greca, divenne appoco a poco, se non oscura, certo difficile, essendo declinata in quell'idioma lavorato ed ornato, che o nello stesso  847 tempo, o poco prima o dopo, divenne proprio de' latini, da' quali io non discrederei che fosse passato quel costume e quel gusto ai greci (ma bisognerebbe esaminare gli scrittori greci intermedii fra Demostene, e quelli che furono ai tempi Romani); sebben potesse molto naturalmente nascere dallo studio, dagli Atticisti che uscivan fuori, dal ridursi la cosa a regola, e la eleganza a misura e meditazione, e ricerca ec. Longino, sebbene fioritissimo delle possibili eleganze e gentilezze della lingua greca, le ricerca tanto, e le accumola (senza però affettazione), che si trovano più frasi e modi figurati in lui che in dieci antichi greci tutti insieme; e sì per questo sì per la struttura intrecciata, composta, manipolata dell'orazione; la lunghezza, e strettissima e fortissima legatura de' periodi, {le ambagi ec.} riesce tanto difficile quanto i più difficili e lavorati scrittori latini. Ai quali egli somiglia tanto, che, massime vedendolo studioso di Cicerone, non dubito, quanto a lui, che quello scrivere non gli sia derivato dai latini, e ch'egli non abbia o voluto trasportare,  848 o (come si fosse) trasportato l'indole e gli spiriti latini nella lingua greca, quanto però questa lo comportava; perchè a ogni modo, come faranno sempre tutte le lingue, ella conserva anche presso lui, il suo sembiante diverso dall'altrui. Non dirò niente de' Sofisti, e degli altri scrittori dell'infima letteratura greca, anche di quella letteratura già moriente e disperata (come ai tempi di Teofilatto Arciv. di Bulgaria). I quali quando volevano stare davvero sull'attillato, scrivevano in modo che unita alla viziosa e corrotta ricercatezza, arguzia, e oscurità dello stile, la ricercatezza, e attortigliamento, e tortuosità della lingua, sono di tanta difficoltà ad intenderli, di quanto poco uso ad averli intesi.