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Sommo egoismo del timore.

Fear's great egoism.

2206,1 2387,1 2497,2 2630,1 2669,1 2673,1 3641,1

[2206,1]  Il timore, passione immediatamente figlia dell'amor proprio e della propria conservazione, e quindi inseparabile dall'uomo, ma soprattutto manifesta e propria nell'uomo primitivo, nel fanciullo, in coloro che più conservano dello stato naturale; passione strettissimamente comune all'uomo con ogni specie di animali, e carattere generale de' viventi; una tal passione, è la più egoistica del mondo. Nel timore l'uomo si isola perfettamente, si stacca da' suoi più cari, e pena pochissimo (anzi quasi da necessità naturale è portato) a sacrificarli ec. per salvarsi. Nè solo dalle persone, o da tutto ciò ch'è in qualche modo altrui, ma dalle cose stesse più proprie sue, più preziose, più necessarie, l'uomo  2207 si stacca quando teme, come il navigante che getta in mare il frutto de' suoi più lunghi travagli, e anche di tutta la sua vita, i suoi mezzi di sussistenza. Onde si può dire che il timore è la perfezione e la più pura quintessenza dell'egoismo, perchè riduce l'uomo non solo a curar puramente le cose sue, ma a staccarsi anche da queste per non curar che il puro e nudo se stesso, ossia la nudissima esistenza del suo proprio individuo separata da qualunque altra possibile esistenza. Fino le parti di se medesimo sacrifica l'uomo nel timore per salvarsi la vita, alla quale, e a quel solo che l'è assolutamente necessario in qualunque istante, si riduce e si rannicchia la cura e la passione dell'uomo nel timore. Si può dir che il se stesso diviene allora più piccolo e ristretto che può, affine di conservarsi, e consente a gettare tutte le proprie parti non necessarie, per salvare quel tanto ch'  2208 è inseparabile dal suo essere, che lo forma, e in cui esso necessariamente e sostanzialmente consiste.

[2387,1]  Ni sabian que pudiesse haver Sacrificio sin que muriesse alguno por la salud de los demàs. * Parole di Magiscatzin, vecchio Senatore Tlascalese a Ferd. Cortès, presso D. Antonio de Solìs, Hist. de la Conquista de Mexico, lib. 3.  2388 capit. 3. en Madrid 1748. p. 184. col. 1. Ecco l'origine e la primitiva ragione de' sacrifizi, e idea della divinità. Si stimava invidiosa e nemica degli uomini, perchè gli uomini lo erano per natura fra loro, e per causa delle tempeste ec. le quali appunto si cercava di stornare co' sacrifizi. Nè si credeva già primitivamente che gli Dei godessero materialmente godessero della carne o sangue o altro che loro si sacrificava, ma della morte e del male della vittima, e che questo placasse l'odio loro verso i mortali, e la loro invidia. Egoismo del timore, che ho spiegato in altro luogo pp. 2206-208. Quindi si facevano imprecazioni ed esecrazioni sulla vittima, che non si considerava già come cosa buona, ma come il soggetto su cui doveva scaricarsi tutto l'odio degli dei, e come sacra solo per questo verso. Quindi quando il timore (o il bisogno, o il desiderio ec.) era maggiore, si sacrificavano uomini, stimando così di soddisfar maggiormente l'odio divino contro di noi. E ciò avveniva o tra' popoli più vili e timidi (e quindi più fieramente egoisti), o più travagliati dalle convulsioni degli elementi (com'erano i Tlascalesi ec.), o ne' tempi più antichi,  2389 e quindi più ignoranti, e quindi più paurosi. E nell'estrema paura, si sacrificavano non solo prigionieri, o nemici, o delinquenti ec. come in america, ma compatrioti, consanguinei, figli, per maggiormente saziare l'odio celeste, come Ifigenia ec. Eccesso di egoismo prodotto dall'eccesso del timore, o della necessità, o del desiderio di qualche grazia ec. (6. Feb. 1822.).

[2497,2]  Ho detto altrove pp. 2206-208 pp. 2387-89 che il timore è la più egoistica passione dell'uomo sì naturale e sì civile. {+Così anche degli altri animali.} Ed è bren[ben] dritto, perocchè l'oggetto del timore pone in pericolo (vero o creduto) l'esistenza o il ben essere di quel sè che il vivente ama per propria essenza  2498 sopra ogni cosa. L'uomo il più sensibile per abito e per natura, il più nobile, il più affettuoso, {{il più virtuoso,}} occupato anche attualmente, poniamo caso, da un amore il più tenero e vivo, se con tutto ciò è suscettibile del timor violento, trovandosi in un grave pericolo (vero o immaginato) abbandona l'oggetto amato, preferisce (e dentro se stesso e coll'opera) la propria salvezza a quella di quest'oggetto, ed è anche capace in un'[un] ultimo pericolo di sacrificar questo oggetto alla propria salute, dato il caso che questo sacrifizio (in qualunque modo s'intenda) gli fosse, o gli paresse dovergli esser giovevole a scamparlo. Tutti i vincoli che legano l'animale ad altri oggetti, o suoi simili o no, si rompono col timore. (26. Giugno 1822.).

[2630,1]  Ho detto altrove pp. 2206-208 pp. 2387-89 pp. 2497-98 che il timore è la più egoistica delle passioni. Quindi ciò ch'è stato osservato, che in tempo di pesti, o di pubblici infortuni, dove ciascun teme per se medesimo, i pericoli e le morti de' nostri più cari, non {ci} producono alcuno o quasi alcun sentimento. (5. Ottobre. 1822.).

[2669,1]  Sopra quello che ho detto altrove pp. 2206-208 pp. 2387-89 che l'uso de' sacrifizi nacque dall'egoismo del timore. Toutes les fois que le courroux des dieux se déclare par la famine, par une épidémie ou d'autres fléaux on tâche de le détourner sur un homme et sur une femme du peuple, entretenus par l'état pour être, au besoin, des victimes expiatoires, chacun au nom de son sexe. On les promène dans les rues au son des instrumens; et après leur avoir donné quelques coups de verges, on les fait sortir de la ville * (d'Athènes). Autrefois on les condamnoit aux flammes et on jetoit leurs cendres au vent. {+(Aristoph. in equit. v. 1133. Schol. ibid. Id. in ran.[Ranae] v. 745. Schol. ib. Hellad. ap. Phot. p. 1590. Meurs. graec. fer. in thargel.).} * Voyage du jeune  2670 Anacharsis en Grèce t. 2. ch. 21. 2e édit. Paris 1789. p. 395. Vedete anche nello stesso capit. la 3a pag. avanti a questa, circa i sacrifizi di vittime umane, i quali si facevano principalmente ne' maggiori pericoli e timori, come dice altrove il medesimo autore. (7. Feb. 1823.). {{V. p. 2673.}}

[2673,1]  {Alla p. 2670.} Le peuple de Leucade qui célèbre tous les ans la fête d'Apollon, est dans l'usage d'offrir à ce dieu un sacrifice expiatoire, et de détourner sur la tête de la victime tous les fléaux dont il est menacé. On choisit pour cet effet un homme condamné à subir le dernier supplice. On le précipite dans la mer du haut de la montagne de Leucade. Il périt rarement dans les flots; et après l'en avoir sauvé, on le bannit à perpétuité des terres de Leucade. * (Strab. l. 10. p. 452. Ampel. memorab. c. 8.) Voyage d'Anacharsis etc. ch. 36. t. 3. p. 402. (17. Feb. 1823.).

[3641,1]  Del resto, ho detto altrove p. 2208 pp. 2387-89 pp. 2669-70 che dalla considerazione della divinità come formidabile, odiosa, odiatrice, nemica ec. nacque l'uso de' sacrifizi {{cruenti,}} comune alla massima parte degli antichi popoli e de' selvaggi ch'ebbero o hanno una qualunque religione o tintura di religione. Ora è da notare che detti sacrifizi furono e sono tanto più crudeli, quanto i detti popoli furono o sono più barbari e ignoranti, perchè tanto più crudele, nemica, maligna, odiosa, terribile e' si figuravano o si figurano la divinità. Onde per placarla e soddisfarla, tormentano le vittime, volendo pascere il di lei odio e sfamarlo, acciocch'esso risparmi i sacrificatori. E perciò ne' più antichi tempi de' greci e de' latini, {#1. così de' Galli a' tempi e nella religione de' Druidi, tra' Celti ec.} furono propri di questi popoli  3642 ancor barbari {e ignoranti,} i sacrifizi d'uomini (che poi per l'uso durarono anche fino a tempi più civili), e lo sono e furono d'altri moltissimi popoli selvaggi; come che con tali sacrifizi meglio si soddisfacesse l'ira e l'odio della divinità verso gli uomini, cioè verso quel tal genere che a lei facea sacrifizi. E non pur d'uomini nemici, che non sarebbe gran meraviglia (uso anch'esso comunissimo tra' selvaggi), o di colpevoli e malvagi, ma eziandio nazionali e probi, benchè questi sacrifizi sieno e fossero meno frequenti di quelli di nemici o di rei. Qua si può riferire lo spontaneo sacrifizio e devozione (cioè esecrazione di se stessi ec.) di Codro, de' Decii, di Curzio (s'è vero) e simili. Tutti appartenenti a' più antichi e barbari tempi della Grecia e di Roma, nè mai rinnovati ne' tempi civili appo l'una nè l'altra nazione.

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