[467,1] Da queste osservazioni deducete 1. un'altra prova che
Senofonte è il vero autore della
K. A.[Κύρου
ἀναβάσει] non Temistogene ec. trattandosi di un giornale, che non
poteva essere scritto {o almeno abbozzato} se non in pręsentia, e dallo stesso Generale (come i
commentarii di Cesare), o almeno da
qualche suo intimo confidente. Questa proprietà, di essere cioè scritta da un
testimonio di
468 vista, anzi dal principale attore e
centro degli avvenimenti non è comune a nessun'altra {opera} storica greca, che ci rimanga, anzi a nessun'antica, fuorchè
ai commentarii di Cesare. Perciò ella
{è} singolarmente preziosa anche per questo capo, e
propria più delle altre a darci la vera idea de' costumi, pensieri, natura degli
antichi, e de' loro fatti; come le lettere
di Cicerone in altro genere di
scrittura, sono la più recondita e intima sorgente della storia di quei tempi.
{{V. p. 519. capoverso 2.}}
[2487,1] Quel che si dice, ed è verissimo, che gli uomini per
lo più si lasciano governare dai nomi, da che altro viene se non da questo che
le idee e i nomi sono così strettamente legati nell'animo nostro, che fanno un
tutt'uno, e mutato il nome si muta decisamente l'idea, benchè il nuovo nome
significhi la stessa cosa? Splendido esempio ne furono i romani, esecratori del
nome regio, i quali non avrebbero tollerato un re chiamato re, e lo tollerarono
chiamato imperatore, dittatore, ec. e dichiarato inviolabile (cosa nuova) col
nome vecchio della potestà tribunizia. E che non avrebbero tollerato un re così
detto, si vede. Perocchè Cesare il
quale, bench'avesse il supremo comando, pur sospirava quel nome, non parendoli
essere re, se non fosse così chiamato, (e ciò pure per la sopraddetta qualità
dell'animo nostro, bench'egli fosse spregiudicatissimo), fattosi
2488 offerire la corona da Antonio ne' Lupercali, fu costretto rigettarla esso
stesso da' tumulti ed esecrazioni di quel popolo già vinto e schiavo, e che poi
chiamato di nuovo alla libertà, non ci venne. E gl'imperatori che furono dopo, e
che da principio (cioè finchè il nome d'imperatore non fu divenuto anche nella
immaginazion loro {e} del popolo, lo stesso e più che
re) ebbero lo stesso desiderio di Cesare, non crederono che quel popolo domo si potesse impunemente ridurre
a sostenere il nome di re, benchè non dubitarono di fargli avere {un re,} e di fargli tollerare ed anche amare la cosa
significata da questo nome. (22. Giugno. 1822.).
[3282,1]
Alla p. 3275.
marg. - Anzi quanto più questi tali son franchi, coraggiosi, non
timidi dell'altrui aspetto nè dell'altrui conversazione, schietti, aperti,
liberi nel parlare, nei modi, nell'operare, intolleranti di dissimulare e di
mentire (anche, tal volta, eccessivamente); e quanto più sono vendicativi delle
ingiurie, fieri con chi gli offende o insulta o disprezza o danneggia, quanto
meno molli e facili ai nemici, agl'invidiosi, ai detrattori, ai maldicenti, agli
oltraggiatori, agli offenditori qualunque; {+ed eziandio quanto più pendono a una certa soverchieria
di parole o di fatti verso chi non è nè compassionevole nè bisognoso, amico
o indifferente o nemico che sia; proclivi o facili all'ira, anche
durevole;} tanto più sono misericordiosi e benefici verso gli amici o
gl'indifferenti {+(dandosene {loro} l'occorrenza, e la facoltà ec. e in questi il
bisogno o l'utilità ec.), o verso} i nemici stessi e gli offenditori,
vinti che sieno, o già puniti, o chiedenti scusa o perdono, o riparata che hanno
l'offesa, o anche senz'altro caduti in grave disgrazia o bisogno, ed avviliti
ec. (Tale fu Giulio Cesare come si vede
in Svetonio). E il contrario accade
negli uomini di contraria qualità:
3283 il contrario,
dico, sì quanto al compatire o beneficare chi che sia, sì quanto al rimettere o
dimenticare le ingiurie. E di contraria qualità sono gli uomini timidi, di
maniere legate, deboli di corpo e d'animo ec. quali ho descritti a pagg. 3279-80. (27. Agos.
1823.).