26-27. Agos. 1823.
[3271,1] Secondo ch'io osservo e che si potrà spiegare colle
ragioni da me recate in altri luoghi pp. 97-99
p.
1589
p.
1605, l'abito di compatire, quello di beneficare, o di operare in
qualunque modo per altrui, e, mancando ancora la facoltà, l'inclinazione alla
beneficenza e all'adoperarsi in pro degli altri, sono sempre (supposta la parità
delle altre circostanze di carattere o indole, educazione, coltura di spirito, o
rozzezza, e simili cose) in ragion diretta della forza, della felicità, del poco
o niun bisogno che l'individuo ha dell'opera e dell'aiuto altrui, ed in
proporzione inversa della debolezza, della infelicità, dell'esperienza delle
sventure e dei mali, sieno passati, o massimamente presenti, del bisogno che
l'uomo ha degli altrui soccorsi ed uffici. {Veggansi le pagg.
3765-68.} Quanto più l'uomo è in istato di esser
3272 soggetto di compassione, o di bramarla, o di
esigerla, e quanto più egli la brama o l'esige, anche a torto, e si persuade di
meritarla, tanto meno egli compatisce, perocch'egli allora rivolge in se stesso
tutta la natural facoltà, e tutta l'abitudine che forse per lo innanzi egli
aveva, di compatire. Quanto l'uomo ha maggior bisogno della beneficenza altrui,
tanto meno egli è, non pur benefico, ma inclinato a beneficare; tanto meno egli
non solo esercita, ma ama in se quella beneficenza che dagli altri desidera o
pretende, e crede a torto o a ragione di meritare, o di abbisognarne. L'uomo
debole, e sempre bisognoso di quegli uffici maggiori o minori che si ricevono e
si rendono nella società, e che sono il principale oggetto a cui la società è
destinata, o quello a cui principalmente dovrebbe servire la scambievole
comunione degli uomini; pochissimo o nulla inclina a prestar la sua opera
altrui, e di rado o non mai, o bene scarsamente la presta, ancor dov'ei può, ed
{ancora} agli uomini più deboli e più bisognosi di
lui. L'uomo assuefatto alle sventure, e
3273 massime
quegli a cui la vita è sinonimo e compagno del patimento, nulla sono mossi, o
del tutto inefficacemente, dalla vista o dal pensiero degli altri mali e
travagli e dolori. L'amor proprio in un essere infelice è troppo occupato
perch'egli possa dividere il suo interesse tra questo essere e i di lui simili.
Assai egli ha da esercitarsi quando egli ha le sue proprie sventure; sieno pur
molto minori di quelle che se gli rappresentano in qualunque modo in altrui. Se
le proprie sventure sono presenti, la compassione, come ho detto, tutta rivolta
e impiegata sopra se stesso, in esso lui si consuma, e nulla n'avanza per gli
altri. Se sono passate, posto ancora che piccolissime fossero, la rimembranza di
esse fa che l'uomo non trovi nulla di straordinario nè di terribile ne'
patimenti e disastri degli altri, nulla che meriti di farlo {come} rinunziare al suo amor proprio per impiegarlo in altrui
beneficio; come già pratico del soffrire, egli si contenta di consigliar
tacitamente e fra se stesso agl'infelici, che si rassegnino alla lor sorte, e si
crede in diritto di esigerlo, quasi
3274 egli medesimo
n'avesse già dato l'esempio; perocchè ciascuno in qualche modo si persuade di
aver tollerato o di tollerare le sue disgrazie e le sue pene virilmente al
possibile, e con maggior costanza, che gli altri, o almeno il più degli uomini,
nel caso suo, non farebbero o non avrebbero fatto; nella stessa guisa che
ciascuno si pensa sopra tutti gli altri essere o essere stato indegno de' mali
ch'ei sostiene o sostenne. Oltre di che l'abito d'insensibilità verso l'altrui
sciagure, contratto nel tempo ch'ei fu sventurato, non è facile a
dispogliarsene, sì perch'esso è troppo conforme all'amor proprio, che vuol dire
alla natura dell'uomo; sì perchè grande e profonda è l'impressione che fa nel
mortale la sventura, e quindi durevole l'effetto che produce e che lascia, e ben
sovente decisivo del suo carattere per tutta la vita, e perpetuo.
[3274,1] Io osservo (e n'ho presente a me stesso non un solo
esempio), che i giovani non poveri, o non oppressi nè avviliti dalla povertà,
sani e robusti di corpo, coraggiosi, attivi,
3275
capaci di fornir da se stessi a' loro bisogni, e poco o nulla necessitosi, ovver
poco o nulla desiderosi degli altrui soccorsi e dell'altrui opera o fisica o
morale, almeno abitualmente; non tocchi ancora dalla sventura, o piuttosto
(giacchè qual è l'uomo nato che già non
abbia sofferto?) tocchi da essa in modo ch'essi pel vigore della età e della
complessione, e per la freschezza {delle forze}
dell'animo, la scuotono da se, e poco caso ne fanno; questi tali giovani, dico,
ancorchè da una parte intolleranti fin della menoma ingiuria, ed anche proclivi
all'ira; {+inclinati ed usi di
motteggiare i presenti e gli assenti ancor più che gli altri non sono;
soverchiatori anzi che no, sia di parole, sia d'opere eziandio; - v. p. 3282. 3942.} dall'altra parte,
ancorchè abbandonati da tutti, e forse da quelli stessi che avrebbero il più
sacro dovere di prenderne cura, ancorchè sperimentati nella ingratitudine degli
uomini, e fatti accorti per prova, della niuna utilità e grazia, ed eziandio del
danno, che spesso risulta dal far beneficio; ancorchè pronti e perspicaci
d'ingegno, e non ignari del mondo, e ben consapevoli quanto il costume degli
uomini sia rimoto dal beneficare e dal compatire, e quanto altresì
3276 le loro opinioni ne gli allontanino, {+e quanto gli uomini sieno generalmente
indegni ch'altri ne prenda cura;} con tutto ciò questi tali sono
prontissimi a compatire, dispostissimi a sovvenire agli altrui mali,
inclinatissimi a beneficare, a prestar l'opera loro a chi ne li richiede,
ancorchè indegno, a profferirla pure spontaneamente, sforzando l'altrui
ripugnanza d'accettarla, e conoscendo quella di ricercarla; apparecchiati senza
riservo e senza cerimonie ai bisogni ed a proccurare i vantaggi degli amici: ed
in effetto sono quasi continuamente occupati per altrui più che per se stessi;
le più volte in piccoli, ma pur faticosi, noiosi, difficili uffizi e servigi,
{+la cui moltiplicità, se non altro,
compensa la piccolezza di ciascuno;} talora eziandio in cose grandi o
notabili e che richieggono grandi o notabili cure, fatiche, ed anche sacrifizi.
E ciò facendo, nè presso se stessi, nè presso i beneficati, nè presso gli altri
attaccano un gran pregio ai loro servigi, nè gran conto ne fanno, nè se ne
reputano di gran merito (quasi accecati e dissennati da Giove, come dice Omero di Glauco quand'egli scambiò le sue armi d'oro con quelle del Tidide ch'erano di rame): di più poca o
niuna gratitudine esigono, quasi ei fossero stati tenuti a beneficare,
3277 o nulla avesse loro costato il benefizio; non mai
si credono in diritto di ripetere il benefizio, o costretti a farlo, lo fanno
con grandissima riserva e senza pretensione alcuna, e riavendone pure una parte,
o domandata o spontanea, si tengono per obbligati essi a chi gli uffici da loro
prestatigli scarsamente rimunerò.
[3277,1] Tutto questo o parte, più o meno, m'è avvenuto di
notare ne' giovani della qualità sopra descritta, e non solo in quelli che per
inesperienza del mondo, e gentilezza di natura, con pienezza di cuore, e con
buona fede {e semplicemente} sono trasportati verso la
virtù, la generosità, la magnanimità, ponendo il loro maggior piacere e
desiderio nel far bene e negli atti eroici, e nella rinegazione e rinunzia e
sacrificio di se stessi; ma eziandio ne' disingannati del mondo, e posti in
quelle circostanze che di sopra ho notate, o in alcune di esse, o in altre
somiglianti. Tutto ciò, dico, ho notato avvenire in questi cotali giovani,
mentre essi godono e sentono i vantaggi della gioventù, della sanità, del
vigore, e sono in istato da bastare a se stessi. Ma o coll'età,
3278 o innanzi all'età, sopravvenendo loro di
quegl'incomodi, di quegli accidenti, di quei casi, di que' disastri fisici o
morali, da natura o da fortuna, che tolgano loro il bastare a se medesimi, che
li renda abitualmente o spesso bisognosi dell'opera e dell'aiuto altrui, che
scemi o distrugga in essi il vigore del corpo, e seco quello dell'animo; questi
tali, come ho pur veduto per isperienza, di misericordiosi e benefici divengono
appoco appoco, in proporzione dell'accennato cambiamento di circostanze,
insensibili agli altrui mali o bisogni, o comodi, solleciti solamente dei
proprii, chiusi alla compassione, dimentichi della beneficenza, e interamente
circa l'una e circa l'altra cangiati e volti in contrario, sì di costumi, sì di
disposizione d'animo. Nè solo appoco appoco, ma eziandio rapidamente e quasi in
un tratto, e nello stesso fiore della giovanezza, ho io veduto accadere tale
cangiamento in persone sopravvenute da improvvisa o rapida calamità di corpo o
di spirito o di fortuna, onde il loro animo fu atterrato e prostrato {subitamente o in poca d'ora,} o crollato e renduto mal
fermo, e la loro vita fu soggettata agl'incomodi, e alla trista necessità
dell'aiuto altrui,
3279 e la sanità scossa, e il corpo
svigorito, e simili cose contrarie alla loro prima condizione. Insomma al subito
o rapido cangiamento delle circostanze sopra notate, ho veduto con pari
subitaneità o rapidità corrispondere il cangiamento del carattere e costume di
tali persone rispetto al compatire, al beneficare e all'adoperarsi in qualunque
modo per altrui.
[3279,1] E quelli che da natura, o per qualunque cagione, fin
dalla fanciullezza o dalla prima giovanezza e dal primo loro ingresso nel mondo,
son tali quali i sopraddetti divennero, cioè deboli di corpo e di spirito,
timidi, irresoluti, avviliti dalla povertà o da qualsivoglia altra causa fisica
o morale, estrinseca o intrinseca, naturale in loro o accidentale e avventizia;
sempre o sovente bisognosi dell'opera altrui, avvezzi {+fin dal principio a soffrire, a mal riuscire nelle loro
intraprese o ne' desiderii loro, e quindi} a sempre sconfidar delle
cose e della vita e {dei successi,} e quindi privi di
confidenza in se medesimi; più domestici del timore o della triste espettazione
che della speranza; questi tali, e quelli che loro somigliano in tutto o in
parte, sono più o meno, fin dal principio della loro vita o fino dalla loro
entrata
3280 nella società, alieni e dall'abito e dagli
atti della compassione e della beneficenza, e dalla inclinazione {o} disposizione a queste virtù; interessati per se soli,
poco o nulla capaci d'interessarsi per gli altri, o sventurati o bisognosi, o
degni o indegni che sieno dell'aiuto altrui; meno ancora capaci di operare per
chi che sia; poco o nulla per conseguenza atti alla vera {ed
efficace ed operosa} amicizia, ben simulatori di essa per ottenerne
dagli altri gli aiuti o la pietà di che hanno mestieri, ed abili a farla servire
ai soli loro vantaggi; simulatori e dissimulatori eziandio generalmente in ogni
altra cosa. E queste qualità divengono in loro caratteristiche, di modo che
l'amor proprio non è in essi altro mai ch'egoismo, e l'egoismo è il loro
carattere principalissimo; ma non veramente per colpa loro, piuttosto per
necessità di natura; e neanche per natura che di sua mano immediatamente abbia
posto negli animi loro più che negli altri questo pessimo vizio, ma perchè dalle
circostanze in che essi o per natura o per accidente si sono trovati fin dal
principio,
3281 nasce naturalmente e necessariamente
questo tal vizio, forse più {necessariamente e
inevitabilmente} e maggiore che da verun'altra cagione. {{V. p. 3846.}}
[3281,1] Da' quali pensieri si dee raccogliere questo
corollario, che le donne essendo per natura più deboli di corpo e d'animo, e
quindi più timide, e più bisognose dell'opera altrui che gli uomini non sono,
sono anche generalmente e naturalmente meno degli uomini inclinate alla
compassione e alla beneficenza, non altrimenti ch'elle, per universale consenso,
sieno generalmente e regolarmente meno schiette degli uomini, più proclivi alla
menzogna e all'inganno, più feconde di frodi, più simulatrici, più finte; tutte
qualità, con molte altre analoghe (che nelle donne generalmente si osservano),
derivanti per natura {+niente più, niente
meno che la sopraddetta,} dalla debolezza d'animo e di corpo, e
dall'insufficienza {+delle proprie forze,
de' propri mezzi e} di se stesso a se stesso. E si può concludere che
le donne sono, generalmente parlando, più egoiste degli uomini, o più portate
all'egoismo per natura (sebbene le circostanze {sociali,} che spesso rovesciano la natura, e fanno
3282 talora le donne, anche prima che abbiano formato il loro
carattere, signore degli uomini, {+oggetti delle lor cure spontanee, de' loro omaggi, suppliche ec.
ec.,} possano {ben} render vana questa
disposizione), e naturalmente si troverà un maggior numero di donne egoiste che
non d'uomini. {+Così le
nazioni e i secoli più infelici, tiranneggiati ec. si vede costantemente
che furono e sono i più egoisti ec. ec.}
(26-27. Agos. 1823.). {{V. p. 3291.
3361.}}