8. Gen. 1820.
[100,1]
100 È cosa osservata degli antichi poeti ed artefici,
massimamente greci, che solevano lasciar da pensare allo spettatore o uditore
più di quello ch'esprimessero. (V. p.
86-87. di questi pensieri) E quanto alla cagione di ciò, non è altra
che la loro semplicità e naturalezza, per cui non andavano come i moderni dietro
alle minuzie della cosa, dimostrando evidentemente lo studio dello scrittore,
che non parla o descrive la cosa come la natura stessa la presenta, ma va
sottilizzando, notando le circostanze, sminuzzando e allungando la descrizione
per desiderio di fare effetto, cosa che scuopre il proposito, distrugge la
naturale disinvoltura e negligenza, manifesta l'arte e l'affettazione, ed
introduce nella poesia a parlare più il poeta che la cosa. Del che v. il mio discorso sopra i romantici, e
vari di questi pensieri p. 21
p.
52
p.
57. Ma tra gli effetti di questo costume, dico effetti e non cagioni,
giacchè gli antichi non pensavano certamente a questo effetto, e non erano
portati se non dalla causa che ho detta, è notabilissimo quello del rendere
l'impressione della poesia o dell'arte bella, infinita, laddove quella de'
moderni è finita. Perchè descrivendo con pochi colpi, e mostrando poche parti
dell'oggetto, lasciavano l'immaginazione errare nel vago e indeterminato di
quelle idee fanciullesche, che nascono dagl'ignoranza dell'intiero. Ed una scena
campestre p. e. dipinta dal poeta antico in pochi tratti, e senza dirò così, il
suo orizzonte, destava nella fantasia quel divino ondeggiamento d'idee confuse,
e brillanti di un indefinibile romanzesco, e di quella eccessivamente cara e
soave stravaganza {e maraviglia,} che ci solea rendere
estatici nella nostra fanciullezza. Dove che i moderni, determinando ogni
oggetto, e mostrandone tutti i confini, son privi quasi affatto di questa
emozione infinita, e invece non destano se non quella finita e circoscritta, che
nasce dalla cognizione dell'oggetto intiero, e non ha nulla di stravagante, ma è
propria dell'età matura, che è priva di quegl'inesprimibili diletti della vaga
immaginazione provati nella fanciullezza. (8. Gen. 1820.)