26. Marzo 1820.
[106,1] Quando io era fanciullo, diceva talvolta a qualcuno
de' miei fratellini, tu mi farai da cavallo. E legatolo a una cordicella, lo
venia conducendo come per la briglia e toccandolo con una frusta. E quelli mi
lasciavano fare con diletto, e non per questo erano altro che miei fratelli. Io
mi ricordo spesso di questo fatto, quando io vedo un uomo (sovente di nessun
pregio) servito riverentemente da questo e da quello in cento minuzie, ch'egli
potrebbe farsi da se, o fare ugualmente a quelli che lo servono, e forse n'hanno
più bisogno di lui, che alle volte sarà più sano e gagliardo di quanti ha
dintorno. E dico fra me, nè i miei fratelli erano cavalli, ma uomini quanto me,
e questi servitori sono uomini quanto il padrone {e simili a
lui in ogni cosa;} e tuttavia quelli si lasciavano guidare {benchè fossero tanto cavalli quant'era io,} e questi si
lasciano comandare; e tra questi e quelli non vedo nessun divario. (26.
Marzo 1820.)