[960,1] Altra cagione dello snervamento prodotto nell'uomo
dall'infelicità, è la diffidenza di se stesso o delle cose, affezione mortifera,
com'è vivifica e principalissima nel mondo {e nei
viventi} la confidenza, e massime in se stesso: e questa è una qualità
primitiva e naturale nell'uomo e nel vivente, innanzi all'esperienza. ec. ec.
Così pure l'uomo che ha perduto, o per viltà e vizio, o per forza delle
avversità e delle contraddizioni e avvilimenti {e
disprezzi} sofferti, la stima di se stesso, non è più buono a niente
di grande nè di magnanimo. E dicendo la stima, distinguo questa qualità dalla
confidenza, ch'è cosa ben diversa considerandola bene. (19. Aprile.
1821.).
[3186,1] Del secondo genere {#1. Può vedersi la p. 3491-4. circa la timidità che è propria di questo secondo
genere e che affatto impedisce di essere stimato nella società, distrugge
qualunque stima si potesse esser conceputa di un individuo prima di
conoscerlo ec. Ella è sovente comune anche al primo genere, ma solo con
quelli di cui hanno soggezione,
laddove nel secondo con tutti, perchè questi tali hanno soggezione di se stessi. Ella è affatto esclusa dal
genere intermedio, e questo è il solo che ne sia sempre esente e al tutto
sicuro.} sono coloro in cui la natura straordinariamente forte, e più
potente che nel comune degli uomini, ha superato e respinto l'arte, e non le ha
lasciato luogo da situarsi, non per istrettezza e cortezza d'essa natura, ma
perch'ella, sebbene amplissima ed estesissima, tutto il luogo essa medesima
irremovibilmente occupò. Ciò sono le persone di carattere originale,
straordinariamente vigoroso, costante, fermo, i quali rigettano le abitudini
contrarie alla loro gagliarda natura e al detto carattere, di qualunque genere
ei sia; e non soffrono di piegarsi e adattarsi agli altrui costumi, di seguire
le altrui inclinazioni, di cangiare o di modificare o di nascondere e mascherare
o finalmente di smentire se stessi; non ammettono nè modi, nè usanze, nè gusti,
nè occupazioni, nè istituti di vita, nè parole, nè fatti se non conformi
esattamente alla loro primitiva natura ed indole, e da essa richiesti,
cagionati, mossi, suggeriti. Questi sono
3187 gli
uomini chiamati singolari e originali; non mai stimati (certo oggidì, e nelle
nazioni più civili e socievoli, non mai), per lo più disprezzati, {ovvero} odiati e fuggiti, sempre derisi. In questi tali
tutto è forza, e per la forza si conserva in essi immutabile la natura. Altri
pur v'ha del medesimo genere, ne' quali avvengachè la natura sia parimente
fortissima e potentissima, contuttociò si mescola in essi e nella natura loro
una sorta di debolezza e non poca. Ciò sono quelle persone di {vastissimo} finissimo e altissimo ingegno, al quale per
la troppa capacità ed ampiezza sfuggono e in essa ampiezza si perdono le cose
piccole; per la troppa finezza riescono difficilissime e impossibili ad
apprendersi, a seguirsi, a possedersi le cose grosse; per la troppa altezza
escono di vista le cose basse. Non già ch'essi sempre le sdegnino, anzi bene
spesso con somma e intentissima cura le cercano e studiano, ma con gran
meraviglia loro e dei pochi che ben li conoscono, non viene lor fatto di
conseguire in quelle cose appena una centesima parte di quell'abilità e di quel
successo che gl'ingegni mediocri, e talora
3188
piccoli, con molto minor cura e studio, facilmente e perfettamente conseguono,
possiedono e adoprano. Il medesimo eccesso della cura e della contenzion d'animo
che quei rari ingegni pongono a conseguire ed esercitare le qualità sociali,
cura e contenzione abituale e familiare in essi, e che mai e' non sanno
intermettere o rilasciare; il medesimo eccesso dico, togliendo loro la
possibilità della disinvoltura, del riposo d'animo, della facilità,
dell'abbandono, della sicurezza, {della} confidenza in
se stessi (che a chi suol riflettere sulle cose, e conoscerne e investigarne e
sentirne e pesarne le difficoltà, e a chi sempre mira alla perfezione, e
d'altronde sa {bene per molte esperienze e sente}
quanto ella sia difficile, a questi tali, dico, la confidenza in se stessi è
impossibile); togliendo dunque loro la possibilità di queste qualità che sono
d'indispensabilissima e primissima necessità per godere nella società e per
piacerle, e generalmente per ottenere colle parole o coi fatti qualunque
successo nel mondo; il detto eccesso, torno a ripetere, impedisce a quei rari
ingegni di mai, se non imperfettissimamente conseguire, di mai, se non con
grandissima difficoltà e stento, adoperare ed esercitare le
3189 qualità che nel mondo si apprezzano ed amano e premiano. Questi
tali, benchè grandissimi ingegni, benchè fecondi di bellissimi, utilissimi,
altissimi, nuovissimi pensieri, benchè scrittori sommi in questo o quel genere,
o pur letterati o filosofi {+o privati
politici} di altissimo valore, benchè d'animo nobilissimi,
sensibilissimi, rarissimi, benchè spesso capacissimi di dilettar sommamente o di
sommamente giovare a qualsivoglia società e a qualunque genere di persone coi
loro scritti o colle produzioni qualunque del loro ingegno, lungamente e
maturamente, o almeno riposatamente, pensate; anzi benchè le dette misere
qualità siano pur troppo propriissime de' singolari ingegni, e tanto più quanto
alcun d'essi più s'inalza sopra il comune, e a proporzione di ciò più
invincibili e costanti; e benchè quasi tutti gl'ingegni veramente singolari e
sommi, massime quelli che risplendettero {o
risplendono} negli studi {+delle scienze, delle lettere, o delle arti,} fossero e sieno più o
meno partecipi di tali qualità caratteristiche, si può dire, degli straordinarii
e sublimi talenti; (vedi fra l'altre cose il Pseudo Donato nella Vita di Virgilio
3190 cap. 6. fine, dov'è l'autorità di Melisso, Grammatico, liberto di Mecenate, contemporaneo di Virgilio: Forcell. in Melissus, Fabric.
B. Lat. 1. 494.); contuttociò
questi tali nella società, se non da quelli che conoscono per altra parte il
loro merito, e che conoscendolo sono capaci di apprezzare chi lo possiede, sono
generalmente (e non irragionevolmente, perocchè niun diletto e molta noia e
fatica reca la loro conversazione) disprezzati ed evitati, ancor maggiormente
che quelli dell'altra specie, e confusi dai più coi primi del primo genere, ai
quali in fatti, nell'esteriore e in ciò che d'essi apparisce, quasi a capello si
rassomigliano. In questo genere si può recar per esempio della prima specie
l'Alfieri, della seconda G. G. Rousseau. {#1. L'abitudine di sempre pensare, e di poco parlare; di
raccor tutto dentro e poco versar di fuori; di trattenersi con se stesso, di
stare raccolto come un devoto, di poco agire, poco conversar nelle cose del
mondo, poco trattare, per attendere agli studi; spendere tutte le sue
facoltà nel proprio interno ec. ec. tutte queste cose rendono l'individuo
incapace di portarsi bene nella società quanto un altro che sia pur di molto
meno talento; perocchè a lui manca l'esercizio dell'operare, del conversare,
di parlare (massime di cose frivole, come bisogna ec.) e le dette sue
qualità ed abitudini positive escludono anche positivamente la capacità di
contrarre le abitudini e di aquistare le qualità sociali. Così la gravità a
cui un tale individuo è neccessariamente abituato, la serietà, il pigliar le
cose per l'importante, e se non importano lasciarle, esclude la possibilità
di aquistar la leggerezza, l'abito di dar peso naturalmente alle cose
minime, di scherzare, d'interessarsi con verità per le bagattelle, di trovar
materia di discorso dove assolutamente non ve n'ha ec. ec. tutte cose
necessarissime in società: pigliar le cose, le materie, anche importanti e
serie, dal lato non importante e non serio, o trattarle non seriamente,
superficialmente, scherzevolmente ec. ec. e come bagattelle ec. ec. e le
profonde a fior d'acqua ec. ec.} Anche questo genere di persone benchè
stimabilissimo non è stimato, perocch'ei conserva la natura, o non è
bastantemente mutato dal naturale.