[72,1] Anche il delitto bene spesso è un eroismo, cioè p. e.
quando il farlo torna in danno o pericolo, e nondimeno si vuol fare per
soddisfare quella tal passione ec. tanto più eroismo quanto che bisogna superare
tutta la forza della natura reclamante, e dell'abitudine (se si tratta per
esempio di un giovane, di un innocente {ec.}) ec. E
però è un eroismo anche senza il danno o il pericolo tutte le volte che è
commesso da persona non solita a commetterlo, costando sempre uno sforzo e una
vittoria di se stesso, nel che consiste l'eroismo. Quindi da un delitto di
questa sorta si può sempre argomentar bene o almeno alquanto straordinariamente
di una persona. In somma ogni sacrifizio di cosa cara ogni sacrifizio difficile
è un eroismo, anche quello della virtù, e dei sentimenti più sacri, quando
questo sacrifizio ancora costa.
[2481,3] Ho discorso altre volte p. 72
p. 2040 della ferocia cagionata nell'uomo virtuoso, nel giovane, ec.
dalla risoluzione di commettere a occhi aperti
2482 un
primo delitto. Ho anche ragionato pp. 80-81
pp.
710-11 del danno involontariamente recato dal Cristianesimo e dallo
stabilimento e perfezionamento della morale, stante che gli uomini (sempre
inevitabilmente cattivi) operando oggi più chiaramente e decisamente contro
coscienza, sono peggiori degli antichi, e calpestando il timore che hanno de'
gastighi dell'altra vita, ne divengono più feroci e più terribili nel malfare,
come persone condannate e disperate, ec. Aggiungo che l'uomo il quale per la
prima volta s'è risoluto a commettere un delitto, ha dovuto con gran fatica e
pena trionfare della propria coscienza, e delle proprie abitudini: e si trova
allora nell'atto di aver riportato questo trionfo. Il che è cagione di una gran
ferocia, simile a quella che dicono del leone, o d'altra tal bestia salvatica,
che va in furore, ed è più che mai terribile appena ch'ell'ha gustato, o veduto
il sangue d'altro animale. Perocchè l'uomo in quel punto è come sparso e
macchiato di sangue, cioè omicida
2483 della propria
coscienza. E generalmente l'esecuzione di qualunque proposito è tanto più
efficace ed energica {ed infiammata} ed avventata e
pronta, quanto la risoluzione è stata più faticosa e difficile, e quanta maggior
pena e contrasto è costato a formarla. Perocchè l'uomo teme di pentirsi, e
s'avventa nell'esecuzione, come fuggendo con grand'impeto e fretta e spavento
dal proprio pensiero, che dandogli luogo a discorrere ancora, potrebbe distorlo,
o precipitarlo di nuovo nell'irresoluzione, che l'uomo teme e odia naturalmente,
e ch'è uno de' principali travagli dell'animo. Massime quando l'effetto della
risoluzione (o sia il piacere, o sia l'utile, o sia la vendetta, o sia la
soddisfazione di qualsivoglia passione umana) lo tira e lo invita
gagliardamente, ed egli teme che il proprio pensiero gl'impedisca di cercarlo e
di conseguirlo{{, e d'altra parte desidera vivamente di non
perderlo, e non privarsene per proprio difetto. (17. Giugno.
1822.).}}
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