[1302,1] Un ritratto, ancorchè somigliantissimo, (anzi
specialmente in tal caso) non solo ci suol fare più effetto della persona
rappresentata (il che viene dalla sorpresa che deriva dall'imitazione, e dal
piacere che viene dalla sorpresa), ma, per così dire, quella stessa persona ci
fa più effetto dipinta che
1303 reale, e la troviamo
più bella se è bella, o al contrario. {ec.} Non per
altro se non perchè vedendo quella persona, la vediamo in maniera ordinaria, e
vedendo il ritratto, vediamo la persona in maniera straordinaria, il che
incredibilmente accresce l'acutezza de' nostri organi nell'osservare e nel
riflettere, e l'attenzione e la forza della nostra mente e facoltà, {e dà generalmente sommo risalto alle nostre sensazioni.
ec.}
{+(Osservate in tal propos. ciò che dice
uno stenografo francese, del maggior gusto ch'egli provava leggendo i
classici da lui scritti in istenografia.)} Così osserva il Gravina intorno al diletto partorito dall'imitazione
poetica. (9. Luglio 1821.).
[1303,1] Diletto ordinarissimo ci produce un ritratto
ancorchè somigliantissimo, se non conosciamo la persona; straordinario se la
conosciamo. Applicate questa osservazione alla scelta degli oggetti d'imitazione
pel poeta e l'artefice, condannando i romantici {e il più de'
poeti stranieri} che scelgono {di preferenza}
oggetti forestieri ed ignoti per esercitare la forza della loro imitazione.
(9. Luglio 1821.).
[1991,1] Colui che imita la maniera di parlare, di gestire,
ec. ec. usata da una persona ignota a colei a cui egli l'imita e la descrive,
quando anche l'imitazione sia vivissima, ingegnosissima ec. non produce quasi
nessun {effetto} nè piacere; laddove un'imitazione
assai men viva della stessa cosa, fatta a chi ne conosca bene il soggetto,
riuscirà piacevolissima. Questo serva di regola ai poeti, ai pittori, {ai comici} ec. ec. che esauriscono
1992 la loro vena imitativa (sia pur felicissima) nell'imitar cose
ignote o poco note o niente familiari a' lettori agli spettatori, o al più de'
medesimi. (26. Ott. 1821.).
[2856,1] Astraendo da tutto questo, dico che in una lingua la
quale abbia pienamente questa facoltà, le traduzioni di quel genere che i
tedeschi vantano, meritano poca lode. Esse dimostrano che la lingua tedesca,
2857 come una cera o una pasta informe e tenera, è
disposta a ricevere tutte le figure e tutte le impronte che se le vogliono dare.
Applicatele le forme di una lingua straniera qualunque, e di un autore
qualunque. La lingua tedesca le riceve, e la traduzione è fatta. Quest'opera non
è gran lode al traduttore, perchè non ha nulla di maraviglioso; perchè nè la
preparazione della pasta, nè la fattura della stampa {ch'egli
vi applica,} appartiene a lui, il quale per conseguenza non è che un
operaio servile e meccanico; perchè dov'è troppa facilità quivi non è luogo
all'arte, nè il pregio dell'imitazione consiste nell'uguaglianza, ma nella
simiglianza, nè tanto è maggiore quanto l'imitante più s'accosta all'imitato, ma
quanto più vi s'accosta secondo la qualità della materia in cui s'imita, quanto
questa materia è più degna; e quel ch'è più, quanto v'ha più di creazione
nell'imitazione, cioè quanto più v'ha di creato dall'artefice nella somiglianza
che il nuovo oggetto ha coll'imitato, {ossia} quanto
questa somiglianza vien più dall'artefice che dalla materia, ed è più nell'
2858 arte che in essa materia, e più si deve al genio
che alle circostanze esteriori. Neanche una tal opera può molto giovare alla
lingua, nè servire ad arricchirla, o a variarla, o a formarla e determinarla, sì
perch'ella dee perdere queste impronte e queste forme colla stessa facilità con
cui le riceve e per la ragione stessa per cui così facilmente le riceve; sì
perchè queste nella loro moltiplicità nocciono l'una all'altra, si scancellano e
distruggono scambievolmente, e impediscono l'una all'altra l'immedesimarsi
durabilmente e connaturarsi colla favella; sì perchè questa moltiplicità
immoderata è incompatibile con quella tal quale unità di carattere che dee pur
avere una favella ancorchè immensa, massime ch'elle sono diversissime l'une
dall'altre, o ripugnano scambievolmente; sì perchè gran parte di queste forme o
impronte essendo alienissime o affatto contrarie al carattere nazionale de'
tedeschi, e a quello della loro letteratura, non possono se non nuocere alla
lingua, e guastarla, o impedire o ritardare ch'ella prenda e fortemente
2859 abbracci e ritenga quella sola forma e carattere
che le può convenire, cioè quella che sia conforme al carattere della nazione e
della nazionale letteratura, senza la qual forma perfettamente determinata, e da
lei perfettamente ricevuta per costantemente conservarla, essa lingua non sarà
mai compiuta e perfetta.
[4234,5] La poesia, quanto a' generi, non ha in sostanza che
tre vere e grandi divisioni: lirico, epico e drammatico. Il lirico, primogenito
di tutti; proprio di ogni nazione anche selvaggia; più nobile e più poetico d'ogni altro; vera {e pura} poesia in tutta la sua estensione; proprio
d'ogni uomo anche incolto, che cerca di ricrearsi o di consolarsi col canto, e
colle parole misurate in qualunque modo, e coll'armonia; espressione libera e
schietta di qualunque affetto vivo e ben sentito dell'uomo. L'epico nacque dopo
questo e da questo; non è in certo modo che un'amplificazione del lirico, o
vogliam dire il genere lirico che tra gli altri suoi mezzi e subbietti ha
assunta
4235 principalmente e scelta la narrazione,
poeticamente modificata. Il poema epico si cantava anch'esso sulla lira o con
musica, per le vie, al popolo, come i primi poemi lirici. Esso non è che un inno
in onor degli {eroi o delle nazioni o eserciti;}
solamente un inno prolungato. Però anch'esso è proprio d'ogni nazione anche
incolta e selvaggia, massime se guerriera. E veggonsi i canti di selvaggi in
gran parte, e quelli ancora de' bardi, partecipar tanto dell'epico e del lirico,
che non si saprebbe a qual de' due generi attribuirli. Ma essi son veramente
dell'uno e dell'altro insieme; sono inni lunghi e circostanziati, di materia
guerriera per lo più; sono poemi epici indicanti il primordio, la prima natività
dell'epica dalla lirica, individui del genere epico nascente, e separantesi, ma
non separato ancora dal lirico. Il drammatico è ultimo dei tre generi, di tempo
e di nobiltà. Esso non è un'ispirazione, ma un'invenzione; figlio della civiltà,
non della natura; poesia per convenzione e per volontà degli autori suoi, più
che per la essenza sua. La natura insegna, è vero, a contraffar la voce, le
parole, i gesti, gli atti di qualche persona; e fa che tale imitazione, ben
fatta, rechi piacere: ma essa non insegna a farla in dialogo, molto meno con
regola e con misura, anzi n'esclude la misura affatto, n'esclude affatto
l'armonia; giacchè il pregio {e il diletto} di tali
imitazioni consiste tutto nella precisa rappresentazion della cosa imitata, di
modo ch'ella sia posta sotto i sensi, e paia vederla o udirla. Il che anzi è
amico della irregolarità e disarmonia, perchè appunto è amico della verità, che
non è armonica. Oltre che la natura propone per lo più a tali imitazioni i
soggetti più disusati, fuor di regola, le bizzarrie, i ridicoli, le stravaganze,
i difetti. E tali imitazioni {naturali} poi, non sono
mai d'un avvenimento, ma d'un'azione semplicissima, voglio dir d'un atto, senza
parti, senza cagioni, mezzo, conseguenze; considerato in se solo, e per suo solo
rispetto. Dalle quali cose è manifesto che la imitazion suggerita dalla natura,
è per essenza, del tutto differente dalla drammatica. Il dramma non è proprio
delle nazioni incolte. Esso è uno spettacolo, un figlio della civiltà e
dell'ozio, un trovato
4236 di persone oziose, che
vogliono passare il tempo, in somma un trattenimento dell'ozio, inventato, come
tanti e tanti altri, nel seno della civiltà, dall'ingegno dell'uomo, non
ispirato dalla natura, ma diretto a procacciar sollazzo a se e agli altri, e
onor sociale o utilità a se medesimo. Trattenimento liberale bensì e degno; ma
non prodotto della natura vergine e pura, come è la lirica, che è sua legittima
figlia, e l'epica, che è sua vera nepote. - Gli altri che si chiamano generi di
poesia, si possono tutti ridurre a questi tre capi, o non sono generi distinti
per poesia, ma per metro o cosa tale estrinseca. L'elegiaco è nome di metro.
Ogni suo soggetto usitato appartiene di sua natura alla lirica; come i subbietti
lugubri, che furono spessissimo trattati dai greci {lirici,} massime antichi, in versi lirici, nei componimenti al tutto
lirici, detti θρῆνοι, {+quali furon
quelli di Simonide, assai
celebrato in tal maniera di componimenti, e quelli di Pindaro: forse anche μονῳδίαι, come quelle che di
Saffo ricorda
Suida.} Il satirico è in parte lirico, se
passionato, come l'archilocheo; in parte comico. Il didascalico, per quel che ha di vera
poesia, è lirico o epico; dove è semplicemente precettivo, non ha di poesia che
il linguaggio, {il modo} e i gesti per dir così. {ec.}
(Recanati. 15. Dic. 1826.).
Related Themes
Romanticismo. (1827) (4)
Ritratti. (1827) (2)
Poesia. (1827) (1)
Lirica. (1827) (1)
Epopea. (1827) (1)
Drammatica. (1827) (1)
Commedia. (1827) (1)