[3095,2] Riprendono {nell'iliade} la poca unità, l'interesse principale
che i lettori prendono per Ettore, il
doppio Eroe (Ettore ed Achille), e
conchiudono che {se Omero} nelle parti è superiore agli altri poeti, nel tutto
però preso insieme, nella condotta del poema, nella regolarità è inferiore agli
altri epici, particolarmente a Virgilio.
Certo se potessero esser vere regole {di poesia} quelle
che si oppongono al buono e grande effetto della medesima e alla natura
dell'uomo, io non disconverrei da queste sentenze. {In proposito delle cose contenute nel séguito di questo
pensiero, vedi la pag. 470. capoverso
2.}
[3482,1] Ne' tragici greci (così negli altri poeti o
scrittori antichi) non s'incontrano quelle minutezze, quella particolare e
distinta descrizione e sviluppo delle passioni e de' caratteri che è propria de'
drammi (e così degli altri poemi e componimenti) moderni, non solo perchè gli
antichi erano molto inferiori a' moderni nella cognizione del cuore umano, il
che a tutti è noto, ma perchè gli antichi nè valevano gran fatto nel dettaglio,
nè lo curavano, anzi lo disprezzavano e fuggivano, e tanto era impropria degli
antichi l'esattezza e la minutezza quanto ella è propria e caratteristica de'
moderni. Ciò nel modo e per le ragioni da me spiegate altrove pp. 1482-83.
[3590,1]
Alla p. 3526.
Gran difetto però è nella Gerusalemme l'aver voluto compensare e
bilanciare insieme i meriti, l'importanza, le parti di Goffredo e quelle di Rinaldo, e l'interesse per l'uno e per l'altro. Da
ciò segue che l'interesse è
3591 veramente doppio, come
nell'iliade, ma non, come in questa diverso. E perciò
appunto, contro quello che a prima vista si potrebbe giudicare, l'{uno} interesse nuoce all'altro e l'indebolisce; voglio
dire perchè l'interesse è altro senza esser diverso, cioè concorre nella
medesima parte, ch'è la cristiana, ed al medesimo fine, ch'è il buon esito
dell'impresa de' Cristiani. Due interessi affatto diversi, e lontani l'uno
dall'altro, possono non pregiudicarsi nè indebolirsi l'un l'altro. E così accade
ne' due interessi d'Ettore e d'Achille, i quali cadono sopra due
contrarie parti, la greca e la troiana, e l'uno nasce dalla sventura, l'altro
dalla felicità. Ma due interessi posti strettamente a lato l'uno dell'altro,
prodotti ambedue dalla fortuna ec. miranti ambedue ad un medesimo fine, non
possono non farsi ombra e non impedirsi scambievolmente. Ed essi non producono
il bello effetto del contrasto di passioni nell'animo de' lettori, e gli altri
bellissimi e poetichissimi risultati che nascono ancora dalla lettura
dell'iliade, o nascevano per lo meno, al tempo e ne' lettori
o uditori per li quali ella fu composta.
[3768,1]
Alla p. 3616.
fine. Un'altra osservazione confermante il mio parere, che l'iliade se
cede agli altri poemi in qualche cosa, ciò possa essere ne' dettagli, ma tutti
li vinca nell'insieme, e nella tessitura medesima e disposizione e condotta, non
che nell'invenzione (al contrario del comun giudizio), si è che nell'iliade
l'interesse cresce sempre di mano in mano, sin che nell'ultimo arriva al più
alto punto. Laddove nella Gerusalemme egli
3769 è, si può dire, onninamente stazionario; nell'Eneide assolutamente retrogrado dal settimo libro
in poi, e così nell'Odissea: errore e difetto sommo ed essenzialissimo e
contrario ad ogni arte. Nella Lusiade nol saprei ora dire, nè nella
Enriade, dove però l'interesse non può essere nè stazionario
nè retrogrado nè crescente, essendo affatto nullo, almeno per tutti gli altri
fuor de' francesi. Puoi vedere a proposito del crescente interesse l'Elogio di Voltaire nelle opp. di Federico II. 1790. tome 7. p. 75.
[4255,6] Dei nostri sommi poeti, due sono stati
sfortunatissimi, Dante e il Tasso. Di ambedue abbiamo e visitiamo i
sepolcri: fuori delle patrie loro ambedue. Ma io, che ho pianto sopra quello del
Tasso, non ho sentito alcun moto
di tenerezza a quello di Dante: e così
credo che avvenga generalmente. E nondimeno non mancava in me, nè manca negli
altri, un'altissima stima, anzi ammirazione, verso Dante; maggiore forse (e ragionevolmente) che verso
l'altro. Di più, le sventure di quello furono senza dubbio reali e grandi; di
questo appena siamo certi che non fossero, almeno in gran parte, immaginarie:
tanta è la scarsezza e l'oscurità delle notizie che abbiamo in questo
particolare: tanto confuso, e pieno continuamente di contraddizioni, il modo di
scriverne del medesimo Tasso. Ma noi
veggiamo in Dante un uomo d'animo forte,
d'animo bastante a reggere e sostenere la mala fortuna; oltracciò un uomo che
contrasta e combatte con essa, colla necessità col fato. Tanto più ammirabile
certo, ma tanto meno amabile e commiserabile. Nel Tasso veggiamo uno che è vinto dalla sua miseria,
soccombente, atterrato, che ha ceduto all'avversità, che soffre continuamente e
patisce oltre modo. Sieno ancora immaginarie
4256 e
vane del tutto le sue calamità; la infelicità sua certamente è reale. Anzi senza
fallo, se ben sia meno sfortunato di Dante, egli è molto più infelice.
(Recanati. 14. Marzo. 1827.). {{(Si può applicare all'epopea, drammatica ec.)}}.
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