Navigation Settings

Manuscript Annotations:
interlinear {...}
inline {{...}}
attached +{...}
footnote #{...}
unattached {...}
Editorial Annotations:

Correction Normalization

Lingua poetica, in che consista ec. ec.

Poetic language, what it consist in, etc.

3008,13009,1 3413,1 3633,1 3749 3864-5 4214,3

[3009,1]  {Alla p. 2841.} Lo stile e il linguaggio poetico in una letteratura già formata, e che n'abbia uno, non si distingue solamente dal prosaico nè si divide e allontana solamente dal volgo per l'uso di voci e frasi che sebbene intese, non sono però adoperate nel discorso familiare nè nella prosa, le quali voci e frasi non sono per lo più altro che dizioni e locuzioni antiche, andate, fuor che ne' poemi, in disuso; ma esso linguaggio si distingue eziandio grandemente dal prosaico e volgare per la diversa inflessione materiale di quelle stesse voci e frasi che il volgo e la prosa adoprano ancora. Ond'è che spessissimo una tal voce o frase è poetica pronunziata o scritta in un tal modo, e prosaica, anzi talora affatto impoetica, anzi pure ignobilissima e volgarissima in un altro modo. E in quello è tutta elegante, in questo affatto triviale, eziandio talvolta per li prosatori. Questo mezzo di distinguere e separare il linguaggio d'un poema da quello della prosa e del volgo inflettendo o condizionando diversamente  3010 dall'uso la forma estrinseca d'una voce o frase prosaica e familiare, è frequentissimamente adoperato in ogni lingua che ha linguaggio poetico distinto, lo fu da' greci sempre, lo è dagl'italiani: anzi parlando puramente del linguaggio, e non dello stile, poetico, il detto mezzo è l'uno de' più frequenti che s'adoprino a conseguire il detto fine, e più frequente forse di quello delle voci o frasi inusitate.

[3413,1]   3413 Alla p. 2841. Sperone Speroni nell'Orazione in morte del Cardinal Bembo, quinta delle Orazioni sue stampate in Ven. 1596. pag. 144-5 poco innanzi il mezzo dell'orazione suddetta.. I medesimi verbi colla stessa construtione * (p. 145.) usa il volgar poeta, * (il poeta italiano) che suole usar l'oratore; onde non pur è lunge da quell'errore, ove spesse fiate veggiamo incorrere i Greci, et qualche volta i Latini, cioè a dire, che egli si paia di favellare in un'altra lingua, che non è quella dell'oratore; anzi i più lodati Toscani all'hora sperano di parlar bene nelle lor prose, et par quasi, che sene vantino, quando al modo, che da' Poeti è tenuto hanno affettato di ragionare. Et chi questo non crede, vada egli a leggere il Decameron del Boccaccio, terzo lume di questa lingua, et troveravvi per entro cento versi di Dante così intieri, come li fece la sua comedia. * {#1. V. p. 3561.} Non parrebbe da queste parole che l'italia non avesse lingua propriamente  3414 poetica, o certo ben poco distinta dalla prosaica? E non è d'altronde manifesto ch'ella ha una lingua poetica più distinta dalla prosaica che non è quella di forse niun'altra lingua vivente, e certo più che non è quella de' Latini, in quanto si vede che noi, imparato che abbiamo ad intendere la prosa latina, intendiamo con poco più studio la poesia, {+(lo studio che ci vuole, e il divario tra il linguaggio della poesia latina e della prosa, consiste principalmente nella diversità di molta parte delle trasposizioni, ossia nell'ordine e costruzione delle parole, ch'in parte è diversa)} ma uno straniero non perciò ch'egli ottimamente intendesse la nostra moderna lingua prosaica, intenderebbe senza molto apposito studio la poetica? Tant'è. Nello stesso cinquecento, l'italia non aveva ancora una lingua che fosse formalmente poetica, cioè la diversità del linguaggio tra i poeti e gli oratori, non era per anche se non lieve, e male o insufficientemente determinata. Gli scrittori prosaici che componevano con istudio e con presunzione di bello stile, si accostavano alla lingua del Boccaccio e de' trecentisti, e questa era similissima alla lingua poetica, perchè la lingua poetica del 300. era quasi una colla prosaica. Gli scrittori poetici che scostandosi dalla lingua del 300, volevano  3415 accostarsi a quella del loro secolo, davano in uno stile familiare, bellissimo bensì, ma poco diverso da quel della prosa. Testimonio l'Orlando dell'Ariosto e l'Eneide del Caro, i quali, a quello togliendo le rime, a questa la misura {+(oltre le immagini e la qualità de' concetti ec.)} in che eccedono o di che mancano che non sieno una bellissima ed elegantissima prosa? E paragonando il poema del Tasso (scritto nella {{propria}} lingua del suo tempo) colle prose eleganti di quell'età, poco divario vi si potrà scoprire quanto alla lingua. Di più i poeti italiani del 500. furono soliti (massime i lirici, che sono i più) di modellarsi sullo stile di Petrarca e di Dante. Il carattere di questo stile {riuscì ed è} necessariamente familiare, come ho detto altrove pp. 1808-10 pp. 2542-44 pp. 2639-42 pp. 2836-41. Seguendo questo carattere, o che i poeti del 500 l'esprimessero nella stessa lingua di que' due, come moltissimi faceano, o nella lingua del 500, come altri; doveano necessariamente dare al loro stile un carattere di familiare e poco diverso da quel della prosa. E così generalmente accadde. (Il linguaggio del Casa non è familiare, ed è molto  3416 più distinto dal prosaico, e così il suo stile. Ciò perchè ne' suoi versi egli non si propose il carattere nè del Petrarca nè di Dante, ma un suo proprio. E quindi quanto il carattere del suo linguaggio e stile poetico è distinto da quel della prosa, tanto egli è ancora diverso da quello {+del linguaggio e stile} sì di Dante e Petrarca, sì degli altri lirici, e poeti quali si vogliano, del suo tempo.). La Coltivazione, le Api ec. sono {ben sovente} bella prosa misurata {+quanto al linguaggio, ed allo stile eziandio: e ciò quantunque l'uno e l'altro poema sieno imitazioni, e l'Api nient'altro quasi che traduzione, delle georgiche, il capo d'opera dello stile il più poetico e il più separato dal familiare, dal volgo, dal prosaico. Similmente si può discorrere dell'Eneide del Caro.}

[3633,1]  Scriveva Voltaire al Principe Reale di Prussia, poi Federico II. in proposito di una frase di Orazio e del modo in cui Federico l'aveva renduta traducendo in francese l'ode in ch'ella si trova: Ces expressions sont bien plus nobles en français: elles ne peignent pas comme le latin, et c'est-là le grand malheur de notre langue qui n'est pas assez accoutumée aux détails. * (Lettres du Prince Royal de Prusse et de M.  3634 de Voltaire, Lettre 118. le 6 avril 1740. Oeuvres complettes de Frédéric II, roi de Prusse. 1790. tome 10, p. 500.) Aveva detto Voltaire che l'espressione latina serait très-basse en français. *

[3749,2]  La lingua latina illustre fu, non solo tra le antiche, ma forse fra tutte, la più separata e diversa, e la meno influita e dominata dalla volgare. Parlo della lingua latina illustre prosaica (ch'è poco dissimile dalla poetica) {+rispetto all'altre pur prosaiche} perchè p. e. la lingua poetica greca fu certo (almen dopo Omero ec.) anche più divisa ec. dalla greca volgare. Ma ciò come poetica, non come illustre, e qualunque linguaggio {appo qualunque nazione} è veramente poetico e proprio della poesia, di necessità e per natura sua è distintissimo dal volgare; chè tanto è quasi a dir linguaggio proprio poetico, quanto linguaggio diverso assai dal volgare. {+S'egli ha ad esser {assai} diverso dal prosaico illustre, molto più dal volgare.} Fra le lingue illustri moderne, la più separata e meno dominata dall'uso, è, cred'io, l'italiana, massime oggi, perchè l'italia ha men società d'ogni altra colta nazione, e perchè la letteratura fra noi è molto più esclusivamente che altrove, propria de' letterati, e perchè l'italia non ha lingua illustre moderna ec. Per tutte queste ragioni la  3750 lingua italiana illustre è forse di tutte le moderne quella che meglio e più generalmente osserva e conserva la proprietà delle voci e modi. Ciò presso i buoni scrittori, cioè quelli che ben posseggono e trattano la lingua illustre, i quali {{oggi}} son men che pochissimi, e quelli che scrivono la lingua illustre, i quali oggi sono in minor numero di quelli che non la scrivano, o il fanno più di rado che non iscrivono la volgare. Perocchè oggi la lingua più comunemente scritta e intesa in italia nelle scritture, non è l'illustre ma la barbara e corrotta volgare; e però ella non conserva punto la proprietà delle parole ec. ma sommamente se n'allontana, come fa la volgare. E p. e. quel fisico e morale, fisicamente e moralmente {ec.} nel senso francese, è oggi del volgare italiano, e dello scritto non illustre, non men ch'e' sia dell'illustre e del volgare francese ec. Ma presso i nostri buoni scrittori di qualunque secolo (non che gli ottimi), si vedrà forse più che in niun'altra lingua illustre moderna,  3751 osservata e conservata la proprietà delle parole e dei modi ec. Cioè l'uso loro esser totalmente e sempre, o quasi totalmente e quasi sempre, o più e più spesso che nell'altre lingue illustri, e in {assai} maggior numero di parole e modi ec., conforme al significato ch'essi ebbero da principio nella lingua e ne' primitivi scrittori italiani, ed anche alla loro {nota} etimologia, ed al senso ed uso ch'essi ebbero nella lingua onde alla nostra derivarono, cioè massimamente nella latina, madre della nostra. Certo la proprietà latina nell'uso e significato delle parole e dei modi, {+(siccome la forma, lo spirito ec. della latinità, della dicitura latina, il modo dell'orazione in genere, del compor le parole, dell'esporre e ordinar le sentenze, dello stile ec. ec. E quanto a queste cose, anche in ordine alla lingua greca l'italiano illustre è la lingua più simile ch'esista ec. ec.)} è molto meglio e in assai maggior parte conservata nell'italiano veramente illustre, per insino al dì d'oggi, che in alcun[alcun'] altra lingua; e forse più nell'italiano illustre degli ultimi nostri buoni scrittori, che nel linguaggio de' più antichi e migliori scrittori francesi, spagnuoli ec. (21. Ott. 1823.).

[3863,2]  Accade nelle lingue come nella vita e ne' costumi; e nel parlare come nell'operare, e trattare con gli uomini (e questa non è similitudine, ma conseguenza.) Nei tempi e nelle nazioni dove la singolarità dell'operare, de' costumi ec. non è tollerata, è ridicola ec. lo è similmente anche quella del favellare. E a proporzione che la diversità dall'ordinario, maggiore o minore, si tollera o piace, {ovvero} non piace, non si tollera, è ridicola ec. più o meno; maggiore o minore o niuna diversità piace, dispiace, si tollera o non si tollera nel favellare. Lasceremo ora il comparare a questo proposito le lingue antiche colle moderne, e il considerare come corrispondentemente  3864 alla diversa natura dello stato e costume delle nazioni antiche e moderne, e dello spirito e società umana antica e moderna, tutte le lingue antiche sieno o fossero più ardite delle moderne, e sia proprio delle lingue antiche l'ardire, e quindi esse sieno molto più delle moderne, per lor natura, atte alla poesia; perocchè tra gli antichi, dove e quando più, dove e quando meno, ηὐδοκίμει la singolarità dell'opere, delle maniere, de' costumi, de' caratteri, degl'istituti delle persone, e quindi eziandio quella del lor favellare e scrivere. La nazion francese, che di tutte l'altre sì antiche sì moderne, è quella che meno approva, ammette e comporta, anzi che più riprende ed odia e rigetta e vieta, non pur la singolarità, ma la nonconformità dell'operare e del conversare nella vita civile, de' caratteri delle persone ec.; la nazion francese, dico, lasciando le altre cose a ciò appartenenti, della sua lingua e del suo stile; manca affatto di lingua poetica, e non può per sua natura averne, perocchè ella deve naturalmente inimicare e odiare, ed odia infatti, come la singolarità delle azioni ec. così la singolarità del favellare e scrivere. Ora il parlar poetico è per sua natura diverso dal parlare ordinario. Dunque esso ripugna per sua natura alla natura della società e della nazione francese. E di fatti la lingua francese è incapace, non solo di quel peregrino che nasce dall'uso di voci, modi, significati tratti da altre lingue,  3865 o dalla sua medesima antichità, anche pochissimo remota, ma eziandio di quel peregrino e quindi di quella eleganza che nasce dall'uso non ordinario delle voci e frasi sue moderne e comuni, cioè di metafore non trite, di figure, sia di sentenza, sia massimamente di dizione, di ardiri di ogni sorta, anche di quelli che non pur nelle lingue antiche, ma in altre moderne, come p. e. nell'italiana, sarebbero rispettivamente de' più leggeri, de' più comuni, e talvolta neppure ardiri. Questa incapacità si attribuisce alla lingua; ella in verità è della lingua, ma è acora della nazione, e non per altro è in quella, se non perch'ella è in questa. Al contrario la nazion tedesca, che da una parte per la sua divisione e costituzion politica, dall'altra pel carattere naturale de' suoi individui, pe' lor costumi, usi ec. {+per lo stato presente della lor civiltà, che siccome assai recente, non è in generale così avanzata come in altri luoghi,} e finalmente per la rigidità del clima che le rende naturalmente propria la vita casalinga, e l'abitudine di questa, è forse di tutte le moderne nazioni civili la meno atta e abituata alla società personale ed effettiva; sopportando perciò facilmente ed anche approvando e celebrando, non pur la difformità, ma la singolarità delle azioni, costumi, caratteri, modi ec. delle persone (la qual singolata[singolarità] appo loro non ha pochi nè leggeri esempi di fatto, anche in città e corpi interi, come in quello de' fratelli moravi, e in altri molti istituti ec. ec. tedeschi, che per verità non hanno  3866 punto del moderno, e parrebbero impossibili a' tempi nostri, ed impropri affatto di essi), sopporta ancora, ed ammette e loda ec. una grandissima singolarità d'ogni genere nel parlare e nello scrivere, ed ha la lingua, non pur nel verso, ma nella prosa, più ardita {per sua natura} di tutte le moderne colte, e pari {in questo} eziandio alla più ardita delle antiche. La qual lingua tedesca per conseguenza è poetichissima e {capace e} ricca d'ogni varietà ec. (11. Nov. 1823.).

[4214,3]  I francesi non hanno lingua poetica perchè hanno rigettata la lingua antica, perchè non sopportano l'antico nel verso niente più che nella prosa: e senza l'antico non vi può esser lingua poetica. I Latini che ebbero pochissima antichità di lingua, perchè il progresso della loro letteratura fu rapidissimo, e che rigettarono, ad eccezione di pochissime {e piccolissime} parti conservate nel verso, quella poca antichità che avevano, non ebbero lingua poetica propriamente, nè avrebbero avuto dicitura e stile poetico se non avessero usato nella poesia costruzioni ardite, e nuovi significati e metafore di parole, che i francesi non sopportano nella loro. {#(1) Notisi quindi che presso i latini ciascun poeta era artefice della sua lingua poetica; la lingua poetica dei latini era opera individuale del poeta, e se il poeta non se la facea, non l'aveva: dove in italiano e in greco ella era cosa universale, e il poeta l'avea già prima di porsi a comporre. E da ciò forse può nascere l'abuso e la soverchia copia del verseggiare e dei verseggiatori ec. ec.} Del resto l'avere i latini e i francesi a differenza dei greci e degl'italiani, rigettata ne' loro buoni {e perfetti} secoli l'antichità della lingua, venne, fra l'altre cose, dal non aver essi avuto nelle loro lingue antiche scrittori veramente sommi, a differenza dei greci, che ebbero Omero, Esiodo, Archiloco, Ippocrate, Erodoto ec. e degl'italiani, ch'ebbero Dante, Petrarca, Boccaccio, insomma {(come i greci)} la letteratura già stabilita, {fissata} e formata prima della lingua e della maturità della civilizzazione. (Bolog. 12. Ott. 1826.).