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Marcaurelio. Perchè scrivesse il suo libro in greco.

Marcus Aurelius. Why he wrote his book in Greek.

2166,1 2624

[2166,1]  Può far meraviglia molto ragionevole che Marcaurelio scrivesse i suoi libri τῶν εἰς  2167 ἑαυτόν, delle considerazioni di se stesso come lo chiama il Menagio, piuttosto in greco che in latino, essendo romano, non allevato in grecia (nè credo che mai ci fosse), ed avendo posto molto e felice studio nelle lettere e nella lingua nativa, come apparisce sì da altre notizie che danno di lui gli Storici, sì massimamente da ciò ch'egli scrive a Frontone e Frontone a lui. Non poteva aver egli di mira, cred'io, la maggior diffusione del suo lavoro, scrivendolo in una lingua più divulgata. Ma io credo certissimo che egli non fosse indotto a preferir la lingua greca alla latina se non per la maggiore libertà di quella. Della quale libertà egli aveva bisogno in un'opera profondamente ed intimamente filosofica, e attenente alla scienza della vita e del cuore umano, ed alle sottili speculazioni psicologiche. Non dubito ch'egli non disperasse di potere riuscire  2168 a trattare un tale argomento in latino, a parlare a se stesso, e di se stesso, cioè del cuor suo ec. (non delle sue cose pubbliche come fa Cic.) in latino. Questa lingua aveva già avuto un Cic. e un Seneca, e un Tacito, eppure ancor non bastava a una certa filosofia veramente intima. La lingua greca aveva avuto scrittori filosofici profondi, ma senza ciò, la sua pieghevolissima e liberissima indole, si prestava a qualsivoglia genere di argomento, grado di filosofia, {ec.} ancorchè nuovo. La lingua latina per lo contrario: ed oltracciò quello era un tempo, dove, come accade dopo una decisa corruzione e licenza, che richiamandosi gl'istituti umani alla buona strada, essi cadono nell'eccesso contrario; la lingua latina e il gusto di quel tempo (come oggi in italia) peccava di servilità, timidità (in vitium ducit culpę fuga * ), come si può vedere nelle opere di Frontone, e come dicevano i maestri di devozione,  2169 che le anime recentemente convertite, sogliono patire di scrupoli, e sarebbe anzi mal segno se non ne patissero. Questo durò poco, perchè la lingua e letteratura colle cose latine tornò a precipitare indietro ben presto. Ma in quel tempo lo stile di Seneca, e altri tali stili filosofici si condannavano altamente dai letteratori latini, come oggi dagli italiani quello di Cesarotti ec. e ciò serviva d'impaccio e di spauracchio a chi volesse scrivere filosoficamente in latino, come oggi volendo scriver buon italiano, nessuno s'impaccia più di pensare. Marcaurelio pertanto dovè sentire questo pericolo, disperare di poter essere profondo filosofo nella lingua nativa voluta dal suo tempo, e senza violare il gusto corrente, e dar nel naso ai critici, i quali già lo riprendevano di cattiva {e negligente} lingua, e di licenza dopo ch'egli s'era dato alla filosofia, e dallo studio delle parole a quello delle cose,  2170 come apertamente lo riprende Frontone de Orationibus. Trovossi adunque obbligato per esprimere i suoi più intimi sentimenti, a sceglier la lingua greca, a creder più facile di esprimere le cose sue più proprie, in una lingua forestiera ed altrui, che nella propria e nativa. (Il qual bisogno pur troppo si farebbe molte volte sentire agl'italiani rispetto al francese, se gl'italiani pensassero, ed avessero cose proprie da dire.)

[2622,1]  Le nazioni civili dell'Asia, dopo la conquista d'Alessandro erano veramente δίγλωττοι cioè parlavano e scrivevano la lingua greca, non come propria, ma come lingua colta, e nota universalmente,  2623 e letta da per tutto (e così deve intendersi il luogo di Cic. pro Archia), e come noi o gli svedesi o i russi o gli olandesi scrivono il francese: noi (più di rado) per cagione della sua universalità; quegli altri, come anche i polacchi, e al tempo di Federico i prussiani, per non aver lingua che sia {o fosse} ancora abbastanza capace ec. Nè si dee credere che le lingue patrie di quelle nazioni, fossero spente, neanche diradate dall'uso, e sostituita loro la greca nella conversazione quotidiana, come accadde della latina, nelle nazioni latinizzate. Restano anche oggi le lingue asiatiche antiche, o dialetti derivati da quelle, o composti di quelle e d'altre forestiere, come dell'arabica ec. E v. ciò che s'è detto altrove pp. 1000-1001 di Giuseppe Ebreo, e Porfirio Vit. Plotini c. 17. nel Fabric. B. G. t. 4. p. 119.-20. (e quivi la nota) κατὰ μὲν πάτριον διάλεκτον * . Di questi δίγλωττοι che scrivevano in lingua non loro, e pure scrivevano anche egregiamente, fu Luciano da Samosata, {+v. le sue opp., dove fa cenno della sua lingua patria,} e tali altri di que' tempi; anzi tutti gli Asiatici  2624 che scrissero in greco (eccetto quelli delle Colonie, come Arriano, Dionigi Alicarnasseo ec.), alcuni Galli non Marsigliesi nè d'altra colonia greco-gallica (come Favorino), alcuni Africani, massime Egiziani (perchè nel resto dell'Affrica, {esclusa la Cirenaica,} trionfò la lingua latina, ma come lingua de' letterati e del governo ec. non come popolare, per quanto sembra), alcuni italiani (come M. Aurelio) ec. ec. (9. Sett. 1822.). {+Questo appunto fu quello che la lingua latina non ottenne mai, o quasi mai, cioè d'esser bene intesa, parlata, letta, scritta da quelli che non la usavano quotidianamente come propria, e così si deve intendere il citato luogo di Cic. latina suis finibus, exiguis sane, continentur. * Pur non erano tanto ristretti neppur allora, quanto all'uso quotidiano, essendo già stabilito il latino in Affrica ec.}