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Nullità o piccolezza delle cose. Le cose non son veramente nulle nè piccole in se, ma per noi.

Nothingness or smallness of things. Things are not actually nothing or small in themselves, but rather to us.

2936,1 2938,1 2941,1 3956,3

[2936,1]   2936 Le cose ch'esistono non sono certamente per se nè piccole nè vili: {+nè anche una gran parte di quelle fatte dall'uomo.} Ma esse e la grandezza e le qualità loro sono di un altro genere da quello che l'uomo desidererebbe, che sarebbe, o ch'ei pensa esser necessario alla sua felicità, ch'egli s'immaginava nella sua fanciullezza e {prima} gioventù, e ch'ei s'immagina ancora tutte le volte ch'ei s'abbandona alla fantasia, e che mira le cose da lungi. Ed essendo di un altro genere, benchè grandi, e forse talora più grandi di quello che il fanciullo o l'uomo s'immaginava, l'uomo nè il fanciullo non è giammai contento ogni volta che giunge loro dappresso, che le vede, le tocca, o in qualunque modo ne fa sperienza. E così le cose esistenti, e niuna opera della natura nè dell'uomo, non sono atte alla felicità dell'uomo. (10. Luglio. 1823.). Non ch'elle sieno cose da nulla, ma non sono di quella sorta che l'uomo indeterminatamente vorrebbe, e ch'egli confusamente giudica, prima di sperimentarle. Così elleno son nulla alla felicità dell'uomo, non essendo un nulla per se medesime. E chi potrebbe chiamare un nulla la  2937 miracolosa e stupenda opera della natura, e l'immensa egualmente che artificiosissima macchina e mole dei mondi, benchè a noi per verità ed in sostanza nulla serva? poichè non ci porta in niun modo mai alla felicità. Chi potrebbe disprezzare l'immensurabile e arcano spettacolo dell'esistenza, di quell'esistenza di cui non possiamo nemmeno stabilire nè conoscere o sufficientemente immaginare nè i limiti, nè le ragioni, nè le origini; qual uomo potrebbe, dico, disprezzare questo per la umana cognizione infinito e misterioso spettacolo della esistenza e della vita delle cose, benchè nè l'esistenza e vita nostra, nè quella degli altri esseri giovi veramente nulla a noi, non valendoci punto ad esser felici? ed essendo per noi l'esistenza così nostra come universale scompagnata dalla felicità, ch'è la perfezione e il fine {dell'esistenza,} anzi l'unica utilità che l'esistenza rechi a quello ch'esiste? e quindi esistendo noi e facendo parte della università della esistenza, senza niun frutto per noi? Ma con tutto ciò come possiamo chiamar vile e nulla quell'opera di cui non vediamo  2938 nè potremo mai vedere nemmeno i limiti? nè arrivar mai ad intendere nè anche a sufficientemente ammirare l'artifizio e il modo? anzi neppur la qualità della massima parte di lei? cioè la qualità dell'esistenza della più parte delle cose comprese in essa opera; o vogliamo dir la massima parte di esse cose, cioè degli esseri ch'esistono. Pochissimi de' quali, a rispetto della loro immensa moltitudine, son quelli che noi conosciamo pure in qualunque modo, anche imperfettamente. Senza parlar delle ragioni e maniere occulte dell'esistenza che noi non conosciamo nè intendiamo punto, neppur quanto agli esseri che meglio conosciamo, e neppur quanto alla nostra specie e al nostro proprio individuo. (10. Luglio. 1823.).

[2938,1]  Questo ch'io dico delle opere della natura, dicasi eziandio proporzionatamente di molte o grandi o belle o per qualunque cagione notabili e maravigliose opere degli uomini, o sieno materiali, o appartengano puramente alla ragione; o di mano o d'intelletto o d'immaginativa; scoperte, invenzioni, scienze, speculazioni ec. ec.  2939 discipline pratiche o teoriche; navigazioni, manifatture, edifizi, costruzioni d'ogni genere, opere d'arte ec. ec. (11. Luglio. 1823.).

[2941,1]  Il principal difetto della ragione non è, come si dice, di essere impotente. In verità ella può moltissimo, e basta per accertarsene il paragonare l'animo e l'intelletto di un gran filosofo con quello di un selvaggio o di un fanciullo, o di questo medesimo filosofo avanti il suo primo uso della ragione: e così il paragonare il mondo civile presente sì materiale che morale, col mondo selvaggio presente, e più col primitivo. Che cosa non può la ragione umana nella speculazione? Non penetra ella fino all'essenza delle cose che esistono, ed anche di se medesima? non ascende fino al trono di Dio, e non  2942 giunge ad analizzare fino ad un certo segno la natura del sommo Essere? (vedi quello che ho detto altrove in questo proposito pp. 1627-28) La ragione dunque per se, e come ragione, non è impotente nè debole, anzi per facoltà di un ente finito, è potentissima; ma ella è dannosa, ella rende impotente colui che l'usa, e tanto più quanto maggiore uso ei ne fa, e a proporzione che cresce il suo potere, scema quello di chi l'esercita e la possiede, e più ella si perfeziona, più l'essere ragionante diviene imperfetto: ella rende piccoli e vili e da nulla tutti gli oggetti sopra i quali ella si esercita, annulla il grande, il bello, e per così dir la stessa esistenza, è vera madre e cagione del nulla, e le cose tanto più impiccoliscono quanto ella cresce; e quanto è maggiore la sua esistenza in intensità e in estensione, tanto {l'esser delle cose} si scema e restringe ed accosta verso il nulla. Non diciamo che la ragione vede poco. In effetto la sua vista si stende quasi in infinito, {+ed è acutissima sopra ciascuno oggetto,} ma essa vista ha questa proprietà che lo spazio e gli oggetti le appariscono tanto più piccoli quanto ella più si stende  2943 e quanto meglio e più finamente vede. Così ch'ella vede sempre poco, e in ultimo nulla, non perch'ella sia grossa e corta, ma perchè gli oggetti e lo spazio tanto più le mancano quanto ella più n'abbraccia, e più minutamente gli scorge. Così che il poco e il nulla è negli oggetti e non nella ragione, {+1. (benchè gli oggetti sieno, e sieno grandi a qualunqu'altra cosa, eccetto solamente ch'alla ragione).} Perciocch'ella per se può vedere assaissimo, ma in atto ella tanto meno vede quanto più vede. Vede però tutto il visibile, e in tanto in quanto esso è e può mai esser visibile a qualsivoglia vista. (11. Luglio 1823.).

[3956,3]  Si dice con ragione, massime delle cose umane, {+e terrene,} che tutto è piccolo. Ma con altrettanta ragione si potrebbe dire, anche delle menome cose, che tutto è grande, parlando cioè relativamente, come ancor parlano quelli che chiamano tutto piccolo, perchè nè piccola nè grande non è cosa niuna assolutamente. Sicchè non è per vero dire nè più ragionevole nè più filosofico il considerare qualsivoglia cosa umana o qualunque, come piccola, che il considerare essa medesima cosa come grande, e grandissima ancora, se così piace. E ben vi sono {quasi} altrettanti aspetti e riguardi, tutti egualmente  3957 degni di filosofo, altrettanti, dico, per la seconda affermazione che per la prima. Ed anche il mondo intero e universo e tutta la università delle cose o esistenti o possibili o immaginabili, a paragone di cui chiamiamo piccole e menome le cose umane, terrene, sensibili, a noi note, e simili, può nello stesso modo esser considerata come piccola e menoma cosa, e d'altro lato come grande e grandissima. Niente manco che mentre delle cose umane si chiamano piccole verbigrazia quelle degli oscuri privati a paragone di quelle de' vastissimi e potentissimi regni, e nondimeno queste ancora, grandissime a paragon di quelle, si chiamano da' filosofi piccolissime e nulle sotto altro rispetto, è ben ragionevole che sotto diversi rispetti, quelle eziandio de' privati ed oscurissimi individui, sieno chiamate, anche da' filosofi, grandi e grandissime, di grandezza niente men vera o niente più falsa che quella delle cose de' massimi imperii. (8. Dec. 1823.).