Pena che si prova in lasciare una persona, un luogo ec. per sempre.
Pain felt when leaving a person, a place, etc. forever.
644,1 2242,12 4278,2[644,1] Non c'è forse persona tanto indifferente per te, la
quale salutandoti nel partire per qualunque luogo, o lasciarti in qualsivoglia
maniera, e dicendoti, non ci rivedremo mai più,
per poco d'anima che tu abbia, non {ti} commuova, non
ti produca una sensazione più o meno trista. L'orrore e il timore che l'uomo ha,
per una parte, del nulla, per l'altra, dell'eterno, si manifesta da per tutto, e quel mai più non si può udire senza un certo senso. Gli
effetti naturali bisogna ricercarli nelle persone naturali, e non ancora, o
poco, o quanto meno si possa, alterate. Tali sono i fanciulli: quasi l'unico
soggetto dove si possano esplorare, {notare,} e
notomizzare oggidì, le qualità, le inclinazioni, gli affetti veramente naturali.
Io dunque da fanciullo aveva questo costume. Vedendo partire una persona,
quantunque a me indifferentissima, considerava
645 se
era possibile o probabile ch'io la rivedessi mai. Se io giudicava di no, me le
poneva intorno a riguardarla, ascoltarla, e simili cose, e la seguiva o cogli
occhi o cogli orecchi quanto più poteva, rivolgendo sempre fra me stesso, e
addentrandomi nell'animo, e sviluppandomi alla mente questo pensiero: ecco l'ultima volta, non lo vedrò mai più, o, forse mai
più. E così la morte di qualcuno ch'io conoscessi, e non mi avesse mai
interessato in vita, mi dava una certa pena, non tanto per lui, o perch'egli mi
interessasse allora dopo morte, ma per questa considerazione ch'io ruminava
profondamente: è partito per sempre - per sempre? sì:
tutto è finito rispetto a lui: non lo vedrò mai più: e nessuna cosa sua
avrà più niente di comune colla mia vita. E mi poneva a
riandare, s'io poteva, l'ultima volta ch'io l'aveva o veduto, o ascoltato ec. e
mi doleva di non avere allora saputo che fosse l'ultima volta, e di non
646 essermi regolato secondo questo pensiero. (11.
Feb. 1821.).
[2242,2] Ogni uomo sensibile prova un sentimento di dolore, o
una commozione, un senso di malinconia, fissandosi col pensiero in una cosa che
sia finita per sempre, massime s'ella è stata al tempo suo, e familiare a lui.
Dico di qualunque cosa soggetta
2243 a finire, come la
vita o la compagnia della persona la più indifferente per lui (ed anche molesta,
anche odiosa), la gioventù della medesima; un'usanza, un metodo di vita. ec.
Fuorchè se questa cosa per sempre finita, non è appunto un dolore, una sventura
ec. {+o una fatica, o se l'esser finita,
non è lo stesso che aver conseguito il suo proprio scopo, esser giunta dove
per suo fine mirava ec.} Sebbene anche, nel caso che a questa ci siamo
abituati, proviamo ec. Solamente della noia non possiamo dolerci mai che sia
finita.
[4278,2] In verità se noi vorremo accuratamente esaminare
quello che noi proviamo, quel che passa nell'animo nostro, in occasion della
morte di qualche nostro caro; troveremo che il pensiero che principalmente ci
commuove, è questo: egli è stato, egli non è più, io non lo vedrò più. E qui
ricorriamo colla mente le cose, le azioni, le abitudini, che sono passate tra il
morto e noi; e il dir tra noi stessi: queste cose sono passate; non saranno
{mai} più; ci fa piangere. Nel qual pianto e nei
quali pensieri, ha luogo ancora e parte non piccola, un ritorno sopra noi
medesimi, e un sentimento della nostra caducità (non però egoistico), che ci
attrista dolcemente e c'intenerisce. Dal qual sentimento proviene quel ch'io ho
notato altrove pp. 644-46; che il cuor ci si stringe ogni volta
che, anche di cose o persone indifferentissime per noi, noi pensiamo: questa è
l'ultima volta: ciò non avrà luogo mai più: io non lo vedrò più mai: o vero:
questo è passato per sempre. {+V. p. 4282.} Di modo che
nel dolore che si prova per morti, il pensiero dominante e principale è, insieme
colla rimembranza {e su di essa fondato,} il pensiero
della caducità umana. Pensiero veramente non troppo simile nè analogo nè
concorde a quello della nostra immortalità.
4279 Alla
quale noi siamo così alieni dal pensar punto in cotali occasioni, che se noi
dicessimo {allora} a noi stessi: io rivedrò però questo
tale dopo la mia morte: io non sono sicuro che tutto sia finito tra noi, e di
non rivederlo mai più: e se noi non potessimo nel nostro pianto, usare e tener
fermo quel mai più; noi non piangeremmo mai per morti.
Ma venga pure innanzi chi che si voglia e mi dica sinceramente se gli è mai, pur
una sola volta, accaduto di sentirsi consolare da siffatto pensiero e
dall'aspettativa di rivedere una volta il suo caro defonto: che pur
ragionevolmente, poste le opinioni che abbiamo della immortalità dell'uomo, e
dello stato suo dopo morte, sarebbe il primo pensiero che in tali casi ci si
dovrebbe offrire alla mente. Ma in fatti, come dal fin qui detto apparisce,
quali si sieno le nostre opinioni, la natura e il sentimento in simili occasioni
ci portano senza nostro consenso o sconsenso a giudicare e tenere per dato, che
il morto sia spento e {passato} del tutto e per
sempre.