11. Feb. 1821.
[644,1] Non c'è forse persona tanto indifferente per te, la
quale salutandoti nel partire per qualunque luogo, o lasciarti in qualsivoglia
maniera, e dicendoti, non ci rivedremo mai più,
per poco d'anima che tu abbia, non {ti} commuova, non
ti produca una sensazione più o meno trista. L'orrore e il timore che l'uomo ha,
per una parte, del nulla, per l'altra, dell'eterno, si manifesta da per tutto, e quel mai più non si può udire senza un certo senso. Gli
effetti naturali bisogna ricercarli nelle persone naturali, e non ancora, o
poco, o quanto meno si possa, alterate. Tali sono i fanciulli: quasi l'unico
soggetto dove si possano esplorare, {notare,} e
notomizzare oggidì, le qualità, le inclinazioni, gli affetti veramente naturali.
Io dunque da fanciullo aveva questo costume. Vedendo partire una persona,
quantunque a me indifferentissima, considerava
645 se
era possibile o probabile ch'io la rivedessi mai. Se io giudicava di no, me le
poneva intorno a riguardarla, ascoltarla, e simili cose, e la seguiva o cogli
occhi o cogli orecchi quanto più poteva, rivolgendo sempre fra me stesso, e
addentrandomi nell'animo, e sviluppandomi alla mente questo pensiero: ecco l'ultima volta, non lo vedrò mai più, o, forse mai
più. E così la morte di qualcuno ch'io conoscessi, e non mi avesse mai
interessato in vita, mi dava una certa pena, non tanto per lui, o perch'egli mi
interessasse allora dopo morte, ma per questa considerazione ch'io ruminava
profondamente: è partito per sempre - per sempre? sì:
tutto è finito rispetto a lui: non lo vedrò mai più: e nessuna cosa sua
avrà più niente di comune colla mia vita. E mi poneva a
riandare, s'io poteva, l'ultima volta ch'io l'aveva o veduto, o ascoltato ec. e
mi doleva di non avere allora saputo che fosse l'ultima volta, e di non
646 essermi regolato secondo questo pensiero. (11.
Feb. 1821.).