10. Dic. 1821.
[2242,2] Ogni uomo sensibile prova un sentimento di dolore, o
una commozione, un senso di malinconia, fissandosi col pensiero in una cosa che
sia finita per sempre, massime s'ella è stata al tempo suo, e familiare a lui.
Dico di qualunque cosa soggetta
2243 a finire, come la
vita o la compagnia della persona la più indifferente per lui (ed anche molesta,
anche odiosa), la gioventù della medesima; un'usanza, un metodo di vita. ec.
Fuorchè se questa cosa per sempre finita, non è appunto un dolore, una sventura
ec. {+o una fatica, o se l'esser finita,
non è lo stesso che aver conseguito il suo proprio scopo, esser giunta dove
per suo fine mirava ec.} Sebbene anche, nel caso che a questa ci siamo
abituati, proviamo ec. Solamente della noia non possiamo dolerci mai che sia
finita.
[2243,1] La cagione di questi sentimenti, è quell'infinito che contiene in se stesso
l'idea di una cosa terminata, cioè al
di là di cui non v'è più nulla; di una
cosa terminata per sempre, e che non
tornerà mai più. (10. Dic.
1821.). {{V. p.
2251.}}