[164,2] Il racconto è uffizio della parola, la descrizione del
disegno (eseguito in qualunque modo). Quindi non è maraviglia che quello sia più
facile di questa al parlatore. E questa è una delle primarie cagioni per cui era
falso ed assurdo quel genere {di poesia} poco fa tanto
in pregio e in uso appresso gli stranieri massimamente, che chiamavano
descrittiva. Perchè quantunque il poeta o lo scrittore possa bene assumere anche
l'uffizio di descrivere, è da stolto il farne professione, non essendo uffizio
proprio della poesia, e quindi non è possibile che non ne risulti affettazione e
ricercatezza, e stento, volendolo fare per istituto e per argomento, lasciando
stare la noia che deve nascere dalla lettura di una poesia tutta diretta a un
uffizio proprio di un'altra arte, e perciò e inferiore a questa, malgrado
qualunque studio, e stentata, e tediosa per la continuazione di una cosa che non
appartenendole non può esser troppo lunga, al contrario di quelle che le
appartengono, nelle quali nessuno biasima che poesia si ravvolga tutta intera.
(12. Luglio 1820.).
[2041,1] La rapidità e la concisione dello stile, piace
perchè presenta all'anima una folla d'idee simultanee, o così rapidamente
succedentisi, che paiono simultanee, e fanno ondeggiar l'anima in una tale
abbondanza di pensieri, o d'immagini e sensazioni spirituali, ch'ella o non è
capace di abbracciarle tutte, e pienamente ciascuna, o non ha tempo di restare
in ozio, e priva di sensazioni.
2042 La forza dello
stile poetico, che in gran parte è tutt'uno colla rapidità, non è piacevole per
altro che per questi effetti, e non consiste in altro. L'eccitamento d'idee
simultanee, può derivare e da ciascuna parola isolata, o propria o metaforica, e
dalla loro collocazione, e dal giro della frase, e dalla soppressione stessa di
altre parole o frasi ec. Perchè è debole lo stile di Ovidio, e però non molto piacevole, quantunque egli sia
un fedelissimo pittore degli oggetti, ed un ostinatissimo e acutissimo
cacciatore d'immagini? Perchè queste immagini risultano in lui da una copia di
parole e di versi, che non destano l'immagine senza lungo circuito, e così poco
o nulla v'ha di simultaneo, giacchè anzi lo spirito è condotto a veder gli
oggetti appoco appoco per le loro parti. Perchè lo stile di Dante è il più forte che mai si possa concepire, e per
questa parte il più bello e dilettevole possibile? Perchè ogni
2043 parola presso lui è un'immagine ec. ec. V. il mio discorso sui romantici. Qua
si possono riferire la debolezza essenziale, e la ingenita sazietà della poesia
descrittiva, (assurda in stessa) e quell'antico precetto che il poeta (o lo
scrittore) non si fermi troppo in una descrizione. Qua la bellezza dello stile
di Orazio (rapidissimo, e pieno
d'immagini per ciascuna parola, o costruzione, o inversione, o traslazione di
significato ec.), {V. p. 2049.} e quanto al pensiero, quella dello
stile di Tacito. ec.
(3. Nov. 1821.). {{V. p. 2239.}}
[2361,1] Che vuol dire che l'uomo ama tanto l'imitazione e
l'espressione ec. delle passioni? e più delle più vive? e più l'imitazione la
più viva ed efficace? Laonde o pittura, o scultura, o poesia, {ec.} per bella, efficace, elegante, e pienissimamente
imitativa ch'ella sia, se non esprime passione, {+se non ha per soggetto veruna passione, (o solamente
qualcuna troppo poco viva)} è sempre posposta a quelle che
l'esprimono, ancorchè con minor perfezione nel loro soggetto. E le arti che non
possono esprimere passione, come l'architettura, sono tenute le infime fra le
belle, e le meno dilettevoli. E la drammatica e la lirica son tenute fra le
prime per la ragione
2362 contraria. Che vuol dir ciò?
non è dunque la sola verità dell'imitazione, nè la sola bellezza e dei soggetti,
e di essa, che l'uomo desidera, ma la forza, l'energia, che lo metta in
attività, e lo faccia sentire gagliardamente. L'uomo odia l'inattività, e di
questa vuol esser liberato dalle arti belle. {{Però le
pitture di paesi, gl'idilli ec. ec. saranno sempre d'assai poco effetto; e
così anche le pitture di pastorelle, di scherzi ec. di esseri insomma senza
passione: e lo stesso dico della scrittura, della scultura, e
proporzionatamente della musica. (26. Gen. 1822.).}}
[2599,1] L'uniformità è certa cagione di noia. L'uniformità è
noia, e la noia uniformità. D'uniformità vi sono moltissime specie. V'è anche
l'uniformità prodotta dalla continua varietà, e questa pure è noia, come ho
detto altrove p. 51, e provatolo con esempi. V'è la continuità di
tale o tal piacere, la qual continuità è uniformità, e perciò noia ancor essa,
benchè il suo soggetto sia il piacere. Quegli sciocchi poeti, i quali vedendo
che le descrizioni nella poesia sono piacevoli hanno ridotto la poesia a {continue} descrizioni, hanno tolto il piacere, e
sostituitagli la noia (come i bravi poeti stranieri moderni, detti descrittivi): ed io ho veduto persone
di niuna letteratura, leggere avidamente l'Eneide
2600 (ridotta nella loro lingua) la qual par che non
possa esser gustata da chi non è intendente, e gettar via dopo i primi libri
le
Metamorfosi, che {pur} paiono
scritte per chi si vuol divertire con poca spesa. Vedi quello che dice Omero in persona di Menelao: Di tutto è
sazietà, della cetra, del sonno
*
ec. La continuità
de' piaceri, (benchè fra loro diversissimi) o di cose poco differenti dai
piaceri, anch'essa è uniformità, e però noia, e però nemica del piacere. E
siccome la felicità consiste nel piacere, quindi la continuità de' piaceri
(qualunque si sieno) è nemica della felicità per natura sua, essendo nemica e
distruttiva del piacere. La Natura ha proccurato in tutti i modi la felicità
degli animali. Quindi ell'ha dovuto allontanare e vietare agli animali la
continuità dei piaceri. (Di più abbiamo veduto {parecchie
volte}
pp.
172-77
pp. 2433-34 come la
Natura ha combattuto la noia in tutti i modi possibili, ed avutala in
quell'orrore che gli antichi le attribuivano rispetto al vuoto.) Ecco come i
mali vengono ad esser necessarii alla stessa felicità, e pigliano vera e reale
essenza
2601 di beni nell'ordine generale della natura:
massimamente che le cose indifferenti, cioè non beni e non mali, sono cagioni di
noia per se, come ho provato altrove pp. 1554-55, e di più non interrompono
il piacere, e quindi non distruggono l'uniformità, così vivamente e pienamente
come fanno, e soli possono fare, i mali. Laonde le convulsioni degli elementi e
altre tali cose che cagionano l'affanno e il male del timore all'uomo naturale o
civile, e parimente agli animali ec. le infermità, e cent'altri mali inevitabili
ai viventi, anche nello stato
primitivo, (i quali mali benchè accidentali uno per uno, forse il genere e
l'università loro non è accidentale) si riconoscono per conducenti, e in certo
modo necessarii alla felicità dei viventi, e quindi con ragione contenuti e
collocati e ricevuti nell'ordine naturale, il qual mira in tutti i modi alla
predetta felicità. E ciò non solo perch'essi mali danno risalto ai beni, e
perchè più si gusta la sanità dopo la malattia, e la calma dopo la tempesta: ma
perchè senza essi mali, i beni
2602 non sarebbero
neppur beni, {a poco andare,} venendo a noia, e non
essendo gustati, nè sentiti come beni e piaceri, e non potendo la sensazione del
piacere, in quanto realmente piacevole, durar lungo tempo ec. (7. Agosto
1822.).
[3479,1] Il poeta dee mostrar di avere un fine più serio che
quello di destar delle immagini e di far delle descrizioni. E quando pur questo
sia il suo intento principale, ei deve cercarlo in modo come s'e' non se ne
curasse, e far vista di non cercarlo, ma di mirare a cose più gravi; ma
descrivere fra tanto, e introdurre nel suo poema le immagini, come cose a lui
poco importanti che gli {scorrano} naturalmente dalla
peña[penna]; e, per dir così, descrivere e
introdurre immagini, con gravità, con serietà, senz'alcuna dimostrazione di
compiacenza e di studio apposito, {+e di
pensarci e badarci, nè di voler che il lettore ci si fermi.} Così
fanno Omero e Virgilio e
3480
Dante, i quali pienissimi di vivissime
immagini e descrizioni, non mostrano pur d'accorgersene, ma fanno vista di avere
un fine molto più serio che stia loro unicamente a cuore, ed al qual solo festinent continuamente, cioè il racconto dell'azioni
e l'evento o successo di esse. Al
contrario fa Ovidio, il quale non
dissimula, non che nasconda; ma dimostra e, per dir così, {confessa} quello che è; cioè a dir ch'ei non ha maggiore intento nè
più grave, anzi a null'altro mira, che descrivere, ed eccitare e seminare
immagini e pitturine, e figurare, e rappresentare continuamente. (20.
Sett. 1823.).
[3548,2] Il fine del poeta epico (e simili, e in quanto gli
altri gli son simili), non dev'esser già di narrare, ma di descrivere, di
commuovere, di destare
3549 immagini e affetti, di
elevar l'animo, di riscaldarlo, di correggere i costumi, d'infiammare alla
virtù, alla gloria, all'amor della patria, di lodare, di riprendere, di accender
l'emulazione, di esaltare i pregi della propria nazione, de' propri avi, degli
eroi domestici ec. Tutti questi o parte di questi hanno da essere i veri e
proprii fini del poeta epico, non il narrare; ma il poeta epico dee però fare in
modo che apparisca il suo vero e proprio, o certo principal fine, non esser
altro che il narrare. Appena merita il nome di poesia un poema il quale in
verità non faccia altro che raccontare, cioè non produca altro effetto che di
{stuzzicare e} pascere la semplice curiosità del
lettore, ossia coll'intreccio bene intrigato e avviluppato, ossia con qualunque
mezzo. Queste sono piuttosto novelle che poesie, per quanto l'azione raccontata
potesse esser nobile {sublime} interessante ec. (Di
questa specie sono l'Orlando innamorato, il Ricciardetto e
simili). E possono ben essere di questa natura anche i poemi tessuti o sparsi
d'invenzioni capricciose e di favole ec. come i veri poemi. Anche favoleggiando
3550 sempre o quasi sempre, un poema può non far
veramente altro che raccontare. Questi tali non sono poemi perchè il poeta ha
veramente e principalmente per fine quel ch'ei non dee senon far vista di avere,
cioè il narrare. Ma per lo contrario i poemi pieni di lunghe descrizioni, di
dissertazioni e declamazioni morali, politiche ec., di sentenze, di elogi, di
biasimi, di esortazioni, di dissuasioni ec. in persona del poeta {ec.} e di simili cose, non sono poemi epici ec. perchè
il poeta mostra veramente di avere per principali fini, quei ch'e' non deve se
non avere senza mostrarlo. (29 Sett. 1823.). {{v. p.
3552.}}
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