[911,1] Analogo al
pensiero precedente è questo che segue.
912 È
cosa osservata dai filosofi e da' pubblicisti che la libertà vera e perfetta di
un popolo non si può mantenere, anzi non può sussistere senza l'uso della
schiavitù interna. (Così il Linguet, credo anche il Rousseau, Contrat social l.
3. ch. 15. ed altri. Puoi vedere anche l'Essai sur l'indifférence en
matière de Religion, ch. 10. nel passo dove cita in
nota il detto luogo di Rousseau
{insieme} con due righe di questo autore.)
Dal che deducono che l'abolizione della libertà {è}
derivata dall'abolizione della schiavitù, e che se non vi sono popoli liberi,
questo accade perchè non vi sono più schiavi. Cosa, che strettamente presa, è
falsa, perchè la libertà s'è perduta per ben altre ragioni, che tutti sanno, e
che ho toccate in cento luoghi. Con molto maggior verità si potrebbe dire che
l'abolizione della schiavitù è provenuta dall'abolizione della libertà; o
vogliamo, che tutte due son provenute dalle stesse cause, ma però in maniera che
questa ha preceduto quella e per ragione e per fatto.
[975,2] Il sistema di Copernico insegnò ai filosofi l'uguaglianza dei globi che compongono
il sistema solare (uguaglianza non insegnata dalla natura, anzi all'opposto),
nel modo che la ragione e la natura insegnavano agli uomini ed a qualunque
vivente l'uguaglianza naturale degl'individui di una medesima specie. (22.
Aprile 1821.).
[3778,1] Stante la natura generale de' viventi, e massime
quella dell'uomo in particolare, una società stretta, {+la quale è cosa dimostrata che necessariamente produce
tra gli uomini la disudsuguaglianza di mille generi e intorno a mille beni e
mali,} non può a meno di eccitare e di mettere in movimento, com'ella
fa in effetto, le passioni dell'invidia, dell'emulazione, della gara, della
gelosia, conseguenze necessarie, o piuttosto specie e nuances dell'odio verso gli altri, naturale ad ogni essere che ami
naturalmente se stesso. Or qual cosa è più antisociale di queste passioni? Elle
non avrebbero avuto luogo nella società scarsa e larga destinataci dalla natura,
il cui uffizio sarebbesi limitato al vero fine d'ogni società, quello di
soccorrersi scambievolmente ne' bisogni (che in natura son pochi), e massime in
quei bisogni (che sono anche meno) i quali esiggono la cospirazione di più
individui, come sarebbe il difendersi dagli altri animali nemici, al qual
effetto anche gli animali meno socievoli, si riuniscono e fanno tra loro una
società temporanea, che dura quanto il pericolo, come i cavalli si stringono
insieme in una ruota, ove ciascuno resta co' piedi di dietro al di fuori, per
difendersi dal lupo, ec. Le dette passioni,
3779
ripeto, non avrebbero avuto luogo, sì per la poca strettezza di quella società,
sì perchè in essa e nello stato naturale dell'uomo, i vantaggi naturali dell'uno
individuo sull'altro sarebbero stati pochi, rari, e piccoli, e i sociali non vi
sarebbero stati affatto. La disuguaglianza tra gli uomini che la società rende
naturalmente somma e di mille generi, sarebbe stata quasi nulla, e limitata a
ben poche cose. Infatti fra gli altri animali, fra cui la società è scarsa, la
disug̃lianza[disuguaglianza] fra gli
individui è rara e sempre scarsissima; così i vantaggi degli uni sugli altri.
Quindi le dette passioni, che sono necessariamente suscitate da' vantaggi e
dalla disuguaglianza ch'è inevitabilmente prodotta da una società stretta, sono
fra gli altri animali rarissime e debolissime. E quelle che nascono
dall'orgoglio naturale di ciascheduno individuo, necessariamente punto ed
afflitto e molestato dal comando, dalle dignità, dalle preminenze qualunque,
dalla stima e dalla gloria degli altri individui della stessa specie e
compagnia, non avrebbero avuto luogo nella società scarsa in modo alcuno, nè
l'hanno tra gli animali i più socievoli, perchè nè in quella si sarebbero
trovati, nè fra questi si trovano gli oggetti che le suscitano, anzi neppur
l'idea loro, non che il desiderio. E quanto al comando, se ve n'ha vestigio
alcuno tra gli animali, come tra le api, tra' buoi, tra gli elefanti (v. Arriano
Indica), esso viene da superiorità di
natura e quasi di specie, intorno a cui non ha luogo invidia nè emulazione; come
le pecore non possono invidiare al montone che le conduce e quasi governa
perch'egli è di sesso più forte, nè le donne invidiano agli uomini la loro
maggior fortezza, nello stesso modo che noi non l'invidiamo al leone. Oltre di
che il comando
3780 e qualunque specie di preminenza
fra gli animali, come dalla natura fu posta, così da tutti gli altri individui
soggetti è sempre riconosciuta per utile a tutti loro, {+ed utile non solo in potenza non solo in destinazione,
ma in atto e in effetto continuamente,} e come a tale essi vi si
soggettano naturalmente, non pur senza la menoma ripugnanza, ma con piacere, e
molto si dolgono s'ella, per qualche accidente, vien loro a mancare, come alle
api il re ec. Ma in una società stretta, massime umana, è d'inevitabile
necessità che abbiano luogo tutte le dette preminenze, come altresì è necessario
ch'elle sempre offendano grandemente l'orgoglio naturale degli altri individui.
E fra esse preminenze è d'indispensabile necessità che v'abbia luogo il comando,
e questo fra gli uomini non può esser effetto di superiorità di natura o di
specie, ma è necessario che l'uguale per natura, sia signor degli uguali. E il
comando e la soggezione fra gli uomini è incontrastabilmente inevitabile che
sebbene utili per istituto, il più delle volte sieno anzi dannosissime in
effetto a chi ubbidisce e sottosta[sottostà], e
per tale siano riconosciute da loro, seguendone naturalmente {un'invidia e} un odio sommo verso chi comanda; odio antisocialissimo,
massimamente che il comando è necessario, ec. Ed è ancora inevitabile che non di
rado, (anzi quasi sempre), il comando e la signoria per l'origine medesima e per
istituto sieno dirette al danno de' sottoposti ed al solo bene de' signori: come
sono le signorie acquistate per viva forza o per arte, contro il volere e
l'intenzione de' subbietti, le quali si chiamano tirannie. E certo è che tutti o
la più parte de' principati passati e presenti hanno avuto principio dalla forza
o dall'artifizio, e che tutti i troni d'europa
3781 si possono, genealogizzando, far risalire a queste
radici. Insomma, com'egli è cosa certissima che tutto il mondo è il patrimonio
della forza (sia fisica, cioè vigore, sia morale, cioè ingegno, arte ec. ch'è
tutt'uno), e ch'egli è fatto per li più forti, ne segue che in una società
stretta, inevitabilmente, qualunque forma se gli possa mai dare, i più deboli
individui denno essere, furono sono e saranno la preda, la vittima, il retaggio
de' più forti. Onde non si può assolutamente dare, molto meno fra uomini, una
società stretta, che ottenga il fine della società, cioè il ben comune {degl'individui che la compongono,} ed il cui risultato
sia il {detto} ben comune. Senza di cui la società non
può avere ragione alcuna. In una società larga i più forti non hanno nè mezzo nè
occasione nè desiderio nè stimolo alcuno di esercitare e porre in opera la
superiorità delle loro forze sopra gl'individui di essa società, se non
solamente alcuna volta per accidente, in modo scarso e passeggero. Ciò ch'ei si
propongono di ottenere, non è a spese della lor società, nè di alcuno de' suoi
individui; esso è fuori di lei; la lor società è troppo scarsa perchè alcuno
possa farci sopra dei disegni, e riporre la sua felicità in beni dipendenti o
appartenenti in alcun modo alla medesima società, di cui appena si avveggono di
esser parte, e che loro è, per così dire, fuori degli occhi, e quindi anche del
pensiero, almeno il più del tempo. ec. I lupi fanno società per attaccare un
ovile, ma i disegni ch'
3782 essi formano sì nel tempo
di questa passeggera società, sì nel resto, e i vantaggi che essi, e tra essi
massimamente i più forti, si propongono di ottenere, non sono sopra gli altri
lupi, ma sopra le pecore. Se poi nella division della preda, nasce fra loro
qualche discordia, e se in questa i più forti hanno il più, queste son cose
accidentali e poco durevoli, e che non lasciano ne' più deboli alcun rancore,
perchè la società subito si discioglie, sicchè l'effetto della discordia si
limita a quei pochi momenti, e in ultimo è maggior l'utile che quei lupi hanno
riportato da quella società, senza cui non avrebbero penetrato l'ovile, e
maggior l'utile che i più deboli hanno ricevuto da' più forti che han combattuto
più di loro ec., di quello che sia il danno che quei lupi hanno riportato da tal
discordia, e i più deboli da' più forti. Ma tutto l'opposto accade nelle società
umane: dove i più forti non servono ad altro che a far male ai più deboli e alla
società, e la superiorità qualunque di forze è sempre dannosa altrui, perchè
sempre (almeno oggidì, e per lo passato il più delle volte) adoperata in solo
bene di chi la possiede.
[3806,1]
Amongst unequals no society,
*
dice Milton, cioè fra
disuguali non è società ec. ec. {Puoi vedere la p. 3891.}
Or quello che si suol dire dell'amicizia e delle secondarie società fra gli
uomini, io lo trasporto, e dee parimente valere circa la società del genere
umano generalmente
3807 considerata. Di tutte le specie
d'animali (così degli altri esseri) l'umana è quella i cui individui sono, non
solo accidentalmente, ma naturalmente, constante e inevitabilmente, più vari tra
loro. Come l'uomo è di gran lunga più conformabile d'ogni altro animale, e
quindi più modificabile, ogni menoma circostanza, ogni menomo accidente (sia
individuale, sia nazionale ec. {+sia
fisico sia morale ec.}) basta a produrre tra l'uno uomo e l'altro
{+(e così fra l'una nazione e
l'altra)} notabilissime diversità. E come è assolutamente inevitabile
la menoma varietà delle menome circostanze e accidenti, così è inevitabile la
diversità degli umani individui ec. che ne deriva. Inevitabile si è l'una e
l'altra in tutte le specie di animali, ma la seconda è molto maggiore nell'uomo
perchè dal poco diverso nasce in lui il diversissimo, stante la sua somma
modificabilità estremamente moltiplice, e la somma delicatezza e quindi
suscettibilità della sua natura rispetto agli altri animali, come si è detto.
Nel modo che la specie umana è divenuta, per la sua conformabilità, più diversa
da tutte l'altre specie animali {+e da
ciascuna di loro,} che non è veruna di queste rispetto {ad altra} veruna di esse; e nel modo che l'uomo nelle
sue diverse età, e in diversi tempi, anche naturalmente, è più diverso da se
medesimo che niuno altro animale; più diverso l'uomo giovane da se stesso
fanciullo, che non è niuno animale decrepito da se stesso appena nato; tanto che
{un} uomo in diverse età {+o in diverse circostanze naturali o accidentali, locali,
fisiche, morali, ec. di clima ec. native, cioè di nascita ec. o avventizie
ec. volontarie o no ec.} appena si può dire esser lo stesso
3808 uomo, ed il genere umano universalmente in diverse
età, o in diverse circostanze naturali o accidentali, locali ec. appena si può
dire esser lo stesso genere; nel modo stesso gl'individui di nostra specie sono
per natura di essa specie molto più vari tra loro che non son quelli di
verun'altra. Ciò accade ancora, ed inevitabilmente, e naturalmente, nell'uomo
naturale, nel selvaggio ec. Onde anche considerando l'uomo in natura, si può,
eziandio per questa parte, conchiudere che la sua specie è meno di verun'altra,
disposta a società, perchè composta d'individui naturalmente più diversi tra
loro, che non son quelli d'altra specie veruna. Ma come la società introduce e
porta al colmo tra gli uomini quella disuguaglianza che si considera negli
stati, nelle fortune, nelle professioni ec. così ella accresce a mille doppi,
promuove inevitabilmente e porta per sua natura al colmo la diversità sì fisica
sì morale, di facoltà, d'inclinazioni, di carattere, di forze, corpo ec. ec.
degl'individui, delle nazioni, de' tempi, delle varie età di un individuo ec.
ec. Ella accresce le diversità naturali ed ingenite di uomo ad uomo, ed altre
infinite e grandissime che nello stato naturale dell'uomo non avrebbero avuto
luogo, necessariamente e per sua natura ne introduce e cagiona. Ella distrugge
mille conformità e somiglianze naturali di uomo ad uomo. La natura è un canone
generale e costante, indipendente dall'arbitrio, poco soggetta agli
3809 accidenti (rispetto alla dipendenza che hanno
dagli accidenti e circostanze le opere ec. dell'uomo), una da per tutto, una
sempre rispetto a ciascuna specie, consistente in leggi certe ed eterne, ec. La
società, opera dell'uomo, dipendente dalla volontà che non ha niuna legge certa,
altrimenti non sarebbe volontà, arbitraria, incostante, varia secondo gli
accidenti e le circostanze de' tempi, de' luoghi, de' voleri, delle mille cose
che la cagionano e che determinano la sua forma e il modo del suo essere, non è
una in se stessa, perchè ha avuto ed ha necessariamente infinite forme, e queste
sempre variabili e variate; non è una in nessuna delle sue forme, perchè in
ciascuna di queste v'ha mille varietà che diversificano l'una dall'altra
necessariamente le parti che la compongono, chi comanda da chi ubbidisce, chi
consiglia da chi è consigliato, ec. ec. Nella società l'uomo perde {quanto è possibile} l'impronta della natura. Perduta
questa, ch'è la sola cosa stabile nel mondo, la sola universale, o comune al
genere o specie, non v'ha altra regola, {filo,} canone,
tipo, forma, che possa essere stabile e comune, alla quale tutti gl'individui
agguagliandosi, sieno conformi tra loro ec. ec. La società rende gli uomini, non
pur diversi e disuguali tra loro, quali essi sono in natura, ma dissimili. Onde
anche per questo argomento si conchiude che l'essenza e natura della società,
{massime umana,} contiene contraddizione in se
stessa; perocchè la società umana naturalmente distrugge il più necessario
elemento,
3810 mezzo, nodo, vincolo della società, ch'è
l'uguaglianza e parità scambievole degl'individui che l'hanno a comporre; o
vogliamo dire accresce per proprietà sua la naturale disparità de' suoi
subbietti, e l'accresce tanto che li rende affatto incapaci di società
scambievole, di quella medesima società che gli ha così diversificati, anzi
d'ogni società, anche di quella che per natura sarebbe stata loro e possibile e
destinata e propria; insomma, per tornare al principio di questo discorso, rende
i suoi soggetti quali son quelli tra' quali naturalmente no society,
*
anzi fa più, perchè se la
società, secondo Milton, è impossibile
tra disuguali, essa li rende dissimili. E in verità niuno animale meno che
l'uomo ha ragion di chiamare suoi
simili gl'individui della sua specie, nè ha più ragione di trattarli
come dissimili, e come individui di specie diversa. Il che egli non manca di
fare. E il farlo, com'ei lo fa ordinariamente, massime nella società, è ben
prova {effettiva} del sopraddetto ec. ec. (25-30.
Ottobre. 1823.).
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