[1118,1] Vo anche più avanti e dico che, secondo me, quasi
tutti i verbi latini terminati nell'infinito in tare
{o tari (dico tare, non itare)} non sono altro
che continuativi di un verbo positivo o noto o ignoto oggidì, e spesso andato
anticamente in disuso, restando solo i suoi derivati, o il suo continuativo,
adoperato quindi {bene spesso} in vece sua. E credo che
l'infinito di detti verbi in tare o tari, indichino il participio del verbo positivo, o il
supino, troncando la desinenza in are o ari, e ponendo quella in us
o in um. Come optare,
secondo me, dinota un participio optus di un verbo
primitivo e sconosciuto, di cui optare
{sia} il continuativo. E mi conferma in questa opinione
il vedere in alcuni di questi verbi conservato per anomalia come abbiamo notato
in visere, un participio che non pare appartenente se
non ad un altro verbo primitivo, e dal qual participio medesimo io credo formato
quel verbo che rimane. Per esempio il verbo potare,
che, oltre potatus, ha il participio potus. Io credo che questo participio anomalo in detto
1119 verbo, non sia contrazione di potatus, come dicono i gramatici, ma participio
regolare di un verbo che avesse il perfetto povi, come
motus ha il perfetto movi, fotus ha fovi, votus
vovi, notus
novi da nosco, di cui notare è continuativo, e fa nel participio non già notus ma notatus. E la prima
voce indicativa di detto verbo originario di potare,
sarebbe stata poo, chè appunto da πόω verbo greco
antico e disusato in questa {e nella più parte delle
sue} voci, stimano i gramatici che derivi potare. (Forcellini.) Ed
osservo che la propria significazione di potare è
infatti continuativa, e denota azione più lunga che il verbo bibere, come può sentire ogni orecchio avvezzo alla
buona {e vera} latinità. Saepe est
largius vino indulgere, poculis deditum esse,
*
dice il
Forcellini di esso
verbo. Onde potatio non è propriamente il bere ma beveria ec. cioè
un bere continuato, come si può vedere ne' due primi
esempi del Forcellini, che sono di
Plauto e Cic., laddove nel terzo ch'è di Seneca, vale lo stesso che potio, cioè bevuta, per la improprietà di
quello scrittore più moderno, e meno accurato. E vedete appunto che potio parola derivata da potus participio del verbo perduto ch'io dico, significa azione poco
continuata, cioè una semplice bevuta: Cum ipse poculum
dedisset,
1120 subito illa in media potione
exclamavit,
*
(Cic.) cioè nell'atto di bere. Laddove potatio formata da potatus di potare, significa beveria,
come ho detto, e non si potrebbe propriamente e convenientemente esprimere con
una voce formata dal verbo bibere. Osservazione,
secondo me, assai forte, e che serve a dimostrare e confermare sì l'esistenza
del detto verbo originario di potare, {ed avente il participio potus,} sì tutta la mia teoria
de' verbi continuativi.