[3526,1] Sopravvenendo il pericolo, ridere, diventare allegro
fuor dell'uso, o più che il momento prima non si era, o di malinconico farsi
giulivo; divenir loquace essendo taciturno {di natura,}
o rompere il silenzio fino allora per qualunque ragione tenuto; scherzare,
saltare, cantare, e simili cose, non sono già segni di coraggio, come si
stimano, ma per lo contrario son segni di timore. Perciocchè dimostrano che
l'uomo ha bisogno di distrarsi dall'idea del pericolo, e particolarmente di
scacciarla col darsi ad intendere ch'e' non sia pericolo, o non sia grave. E
questo è ciò
3527 che l'uomo proccura di fare dando
segni straordinarii d'allegrezza in tali occasioni; ingannar se stesso
dimostrandosi di non aver nulla a temere, perocch'ei fa cose contrarie a quelle
che il timore propriamente e immediatamente {suol}
cagionare. Affine di non temere, l'uomo proccura di persuadersi ch'ei non teme,
ond'ei possa dedurre che non v'è ragion sufficiente o necessaria di timore. Egli
è un effetto molto ordinario di questa passione il muover l'uomo a cose
contrarie a quelle {a} che immediatamente ella il
moverebbe, ma e quelle e queste sono ugualmente effetti di vero timore. E quelle
sono in gran parte, o sotto un certo aspetto, finte; queste veraci. Il timore
muove l'uomo a far quasi una pantomima appresso se stesso. Per questo nelle
solitudini e fra le tenebre e in luoghi, cammini, occasioni pericolose o che
tali paiono, è uso naturale dell'uomo il cantare, non tanto ad effetto di
figurarsi e fingersi una compagnia, o di farsi compagnia (come si dice) da se
stesso; quanto perchè il cantare par proprio onninamente di chi non teme:
appunto perciò chi teme, canta. (Vedi a tal
3528
proposito un luogo molto opportuno del
Magalotti segnato da me nelle
prime carte di questi pensieri, sul principio, se non erro, del 1819.
p.
43). Dai medesimi principii (più che dal bisogno di distrazione) nasce
che in un pericolo comune o creduto tale, e vero o immaginario assolutamente,
piace, conforta, rallegra l'udire il canto degli altri, il vedergli intenti alle
lor solite operazioni, l'accorgersi o il credere ch'essi o non istimino che vi
sia pericolo, o nulla per sua cagione tralascino o mutino del loro ordinario, e
di quello che infino allora facevano o che, senza il pericolo, avrebbero fatto;
o che non lo temano, e sieno intrepidi ec. Il coraggio veduto o creduto negli
altri, o l'opinione che non vi sia pericolo, veduta o creduta in essi,
incoraggisce l'individuo che teme. Nello stesso modo il mostrar di non temere a
se stesso è un farsi coraggio, o col persuadersi che non vi sia pericolo, o col
dare a se stesso in se stesso un esempio di coraggio e di non temere questo
pericolo, ancorchè vi sia. Or chi ha bisogno che gli sia fatto coraggio e di
aver nello stesso pericolo esempi di coraggio, e altrimenti teme, non
3529 è certamente coraggioso, o in tale occasione non
ha coraggio. E chi ha bisogno per non temere, di credere che non vi sia
pericolo, cioè ragion di temere, o di sminuirsi l'opinion del pericolo, {e} di credere che questo pericolo, questa ragione sia
piccola, o minore e più leggera ch'ella non è, ed altrimenti teme; non è
coraggioso, perchè niun teme quello ch'ei non crede da temersi, e niun teme
fuori dell'opinion del pericolo, vera o falsa, o ancor menoma ch'ella sia, {+o non ragionata, ma quasi istinto e
passione} (come quella di cui vedi la p. 3518-20. e massime 3519. marg.)