[3803,1]
3803 Dai superiori ragionamenti appoggiati e
accompagnati ai fatti e alle storie degli uomini, e queste paragonate con quello
che avviene negli altri animali ec. si dee dedurre che dalla società che passa
p. e. tra le api e i castori, e gli altri animali che per natura hanno tra loro
più stretta comunione di vita, e dagli esempi naturali siffatti, ben si può
argomentare che agli uomini non si convenga una società più stretta di quella;
ma non già perch'ella si trovi in parecchie specie naturalmente, si può
argomentare che agli uomini convenga neppure una società altrettanto stretta,
giacchè gli uomini, contro quello che si stima, cioè che sieno per natura i più
socievoli animali, sono anzi i meno socievoli, o certo manco socievoli di quello
che sieno parecchi altri, cioè gli animali che veramente sono i più socievoli
per natura. Onde, non che all'uomo convenga una società più stretta che all'api
ec., come lo è di gran lunga quella ch'egli ha presentemente, ed ebbe da tempo
immemorabile, si dee concludere che non gliene conviene se non una molto più
larga ec. come ho accennato p.
3773. fine, e come risulta dagli estremi danni dell'umana società stretta
(danni verso se stessa e la specie umana, e verso l'altre specie ancora e
l'ordine della natura terrestre, in quanto egli può essere ed è influito
dall'uomo, massime dall'uomo in società) considerati di sopra, e dall'estrema
insociabilità dell'uomo, dimostrata in tutto il passato discorso.
3773,2