[4347,1] Componendo senza scrivere, non fidando i propri
componimenti che alla memoria (ex eo Musarum, memorum dearum, diligens et in
iliade enixe repetita invocatio
*
: Wolf. §. 20. p. lxxxix.), Omero e i poeti di que' tempi erano ben
lungi dall'aspirare all'immortalità. Quid? quod ne nominis quidem immortalitas tum quenquam
impellere potuit ut ei duraturis monumentis prospiceret; idque de Hom. credere, optare est, non
fidem
4348 facere. Nam ubi is tali studio se
teneri significat? ubi professionem eiusmodi, ceteris poëtis tam
frequentem, edit, aut callide dissimulat?
*
(§. 22. p.
xciv.) Non si era ancora concepita l'idea dell'immortalità, molto meno
il desiderio. Ben desideravasi la gloria, cioè {l'onore
e} la lode de' contemporanei, cioè de' conoscenti e de' cittadini o
compatrioti, in vita e ne' primi dì dopo la morte: stimolo {ben} sufficiente alle più grandi azioni. Omnino {autem} satis habuit illa aetas, quasi sub nutrice ludendo et
divini ingenii impetum sequendo, res pulcherrimas experiri et ad aliorum
oblectationem prodere: mercedem si quam petiit, plausus fuit et laus
aequalium auditorum
*
, dice il Wolf (§. 22. p. xciv - v. e cita Oraz. Ep. II. I.
93.). E quel ch'ei dice de' poeti di que' tempi dee dirsi parimente
de' guerrieri, magistrati, uomini forti, giusti, virtuosi. {V. p. 4352.} Altro
vantaggio anche questo de' tempi Omerici, ignorare l'immortalità del nome: 1.o
non erano tormentati da un desiderio sì difficile ad adempire, 2.o molto più
filosoficamente e ragionevolmente di noi (come sono sempre più filosofi di noi i
primitivi) limitavano i lor desiderii a quel che è sensibile, e naturale a
desiderarsi, la lode dei presenti; non estendevano le loro viste al di là di
quel che è concesso all'individuo, al di là dello spazio assegnatogli dalla
natura, cioè della vita; in fine non si curavano di quello che nulla ci può
veramente nè giovare nè nuocere, nè piacere, nè dispiacere, di quel che {si penserà di noi} dopo la nostra morte.