Diritto delle genti, pubblico, universale ec.
Jus gentium, public, universal, etc.
2252,1 2305,1 2625,1 2644,1 2660,1.2 2759,2 3073,1 3115,1 3365,1 3420,1 4290,1[2252,1] Che il privato verso il privato straniero, e
massimamente nemico, sia tenuto nè più nè meno a quei medesimi doveri sociali,
morali, di commercio ec. a' quali è tenuto verso il compatriota o concittadino,
e verso quelli che sono sottoposti ad una legislazione comune con lui; che
esista insomma una legge, un corpo di diritto universale che abbracci tutte le
nazioni, ed obblighi l'individuo nè più nè meno verso lo straniero che verso il
nazionale; questa è un'opinione che non ha mai esistito prima del Cristianesimo;
ignota ai filosofi antichi i più filantropi, ignota non solo, ma evidentemente e
positivamente esclusa da tutti gli antichi legislatori i più severi, e pii, e
religiosi, da tutti i più puri moralisti (come Platone) da tutte le più sante religioni e legislazioni,
2253 compresa quella degli Ebrei. Se in qualche nazione
antica, o moderna selvaggia, la legge o l'uso vieta il rubare, ciò s'intende a'
proprii compatrioti, (secondo quanto si estende questo[questa] qualità; perciocchè ora si stringe a una sola città, ora ad
una nazione benchè divisa, come in grecia ec.) e non mica
al forestiere che capita, o se vi trovate in paese forestiere. {+V. il Feith,
Antiquitates homericae, nel Gronovio, sopra la pirateria ec.
λῃστεία, usata dagli antichissimi legalmente e onoratamente cogli
stranieri.} Così dico dell'ingannare, mentire ec. ec.
Infatti osservate che fra popoli selvaggi, ordinariamente virtuosissimi al loro
modo, e pieni de' principii di onore e di coscienza verso i loro paesani ec. i
viaggiatori hanno sempre o assai spesso trovato molta inclinazione a derubarli,
ingannarli ec. eppure i loro costumi non erano certamente corrotti. V. le storie della conquista
del Messico circa l'usanza menzognera di quei popoli
i meno civilizzati. Parimente trovandosi gli antichi o i selvaggi in
terra forestiera, non
2254 hanno mai creduto di mancare
alla legge, danneggiando gli abitatori in qualunque modo.
[2305,1]
2305 Gl'italiani, i francesi, gli spagnoli usano il
verbo sapio (sapere, saber,
savoir) nel senso di scio. Che vuol dir ciò,
se non che così adoperava quel volgare da cui e non d'altronde, tutte tre queste
lingue son derivate? V. il Forc. e il Glossar.
{{e Sapiens, Sapientia ec.}}
(29. Dic. 1821.).
[2625,1] Ho detto altrove p. 1037 che le
antiche nazioni si stimavano {ciascuna} di natura
diversa dalle altre,
2626 non consideravano queste come
loro simili, e quindi non attribuivano loro nessun diritto, nè si stimavano
obbligate ad esercitar cogli esteri la giustizia distributiva ec. se non in
certi casi, convenuti generalmente per necessità, come dire l'osservazion de'
trattati, l'inviolabilità degli araldi ec. cose tutte, la ragion delle quali
appoggiavano favolosamente alla religione, come quelle che da una parte erano
necessarie volendo vivere in società, dall'altra non avevano alcun fondamento
nella pretesa legge naturale. Quindi gli araldi amici e diletti di Giove presso Omero ec. quindi il violare i trattati era farsi nemici
gli Dei (v. Senof. in Agesilao) ec. Ho citato p. 1037 l'Epitafios attribuito a Demostene per provare che questa falsa, ma
naturale idea della superiorità loro ec. ec. sulle altre nazioni, le
confermavano
2627 le nazioni antiche, e poi le
fondavano sulle favole, e sulle storie da loro inventate, tradizioni ec. dando
così a questo inganno una ragione, e una forza di massima e di principio. Anche
più notabile in questo proposito è quel che si legge nel Panegirico d'Isocrate verso il principio,
dove fa gli Ateniesi superiori per natura ed origine a tutti gli uomini. V. anche l'orazione della Pace, dove
paragona gli Ateniesi coi Τριβαλλοί, e coi Λευκανοί. Similmente il popolo Ebreo
chiamavasi il popolo eletto, e quindi si poneva senza paragone alcuno al di
sopra di tutti gli altri popoli sì per nobiltà, sì per merito, sì per diritti
ec. ec. e spogliava gli altri del loro ec. ec. (25. Settembre
1822.).
[2644,1] L'uomo odia l'altro uomo per natura, e
necessariamente, e quindi per natura esso, sì come gli altri animali è disposto
contro il sistema sociale. E siccome la natura non si può mai vincere, perciò
veggiamo che niuna repubblica, niuno istituto e forma di governo, niuna
legislazione, {niun ordine,} niun mezzo morale,
politico, filosofico, d'opinione, di forza, di circostanza qualunque, di clima
ec. è mai bastato nè basta nè mai basterà a fare che la società cammini come si
vorrebbe, e che le relazioni scambievoli degli uomini fra loro, vadano secondo
le regole di quelli che si chiamano diritti sociali, e doveri dell'uomo verso
l'uomo. (2. Nov. dì de' Morti. 1822).
[2759,2] Chi vuol manifestamente vedere la differenza de'
tempi d'Omero da quelli di Virgilio, quanto ai costumi, e alla
civilizzazione, e alle opinioni che
2760 s'avevano
intorno alla virtù e all'eroismo, {+siccome anche quanto ai rapporti scambievoli delle nazioni, ai diritti e al
modo della guerra, alle relazioni del nimico col nimico;} e chi vuol
notare la totale diversità che passa tra il carattere e l'idea della virtù
eroica che si formarono questi due poeti, e che l'uno espresse in Achille e l'altro in Enea, consideri quel luogo dell'Eneide (X. 521-36.) dov'Enea fattosi sopra Magone che gittandosi in terra e abbracciandogli le
ginocchia, lo supplica miserabilmente di lasciarlo in vita e di farlo cattivo,
risponde, che morto Pallante, non ha
più luogo co' Rutuli alcuna misericordia nè alcun commercio di guerra, e spietatamente pigliandolo per la
celata, gl'immerge la spada dietro al collo per insino all'elsa. Questa scena e
questo pensiero è tolto di peso da Omero, il quale introduce Menelao sul punto di lasciarsi commuovere da simili prieghi, ripreso
da Agamennone, che senza alcuna pietà
uccide il troiano già vinto e supplichevole.
[3073,1]
Alessandro Magno schifò quel
*
(consiglio) d'Aristotile, che volea ch'egli trattasse i Greci da parenti, e
i Barbari da bestie, e sterpi.
*
Id. ib.
(1. Agosto. dì del Perdono. 1823.).
[3115,1] E qui si deve considerare il maraviglioso artifizio
di Omero. Non solevasi a' tempi eroici,
cioè quasi selvaggi, stimar gran fatto il nemico. L'odio che gli portava la
parte contraria, quell'odio il quale faceva che ciascun soldato considerasse
l'esercito o la nazione opposta come nemici suoi personali, e con questo
sentimento combattesse, non lasciava luogo alla stima. E quando anche s'avesse
cagione di stimare il nemico, ciascuno, come si fa de' nemici personali, cercava
a tutto potere di deprimerlo sì nella propria immaginazione che presso gli
altri, e ricusava di riconoscere in lui alcuna virtù. Non prevaleva nè si
conosceva allora quella sentenza che la gloria di chi fortemente combatte e di
chi vince è tanto maggiore quanto più forte e stimabile è il nemico e il vinto.
Ma sebbene allora
3116 ciascuno amasse e cercasse la
gloria sopra ogni altra cosa ed assai più che al presente, niuno si curava di
accrescerla a costo del proprio odio verso il nimico, niuno sosteneva di
aggrandire a' propri occhi o agli altrui il pregio della propria vittoria col
considerare e render giustizia al valore della resistenza; ognuno preferiva di
tenere anzi l'inimico per vile e codardo e tale rappresentarlo agli altri,
perchè l'odio e la vendetta più si soddisfa e gode disprezzando il nimico e
privandolo d'ogni qualsivoglia stima, che sforzandolo e vincendolo, e quasi
piuttosto eleggerebbe di soccombergli che di lodarlo. Una tal disposizione
offriva poche risorse, poca varietà, poco campo di passioni al poema epico. Omero ebbe l'arte di fare che i greci si
contentassero di stimare il nemico che avevano vinto; e fece loro provare il
piacere, a quei tempi ignoto o rarissimo, di vantarsi e compiacersi
3117 di una vittoria riportata sopra un nemico nobile e
valoroso. Questo piacere fu veramente Omero che lo concepì, Omero
che lo produsse; ei non era proprio de' tempi, non nasceva dalla maniera di
pensare e dalle disposizioni di quegli uomini, ma nacque dalla poesia d'Omero; Omero per dir così ne fu l'inventore. Questo gli diede campo di
moltiplicare e intrecciar gl'interessi, di variar le passioni e gli effetti
cagionati dal suo poema nell'animo de' lettori.
[3365,1]
J'ai
vu quatre sauvages de la Louisiane qu'on amena en
France, en 1723. Il y avait parmi eux une
femme d'une humeur fort douce. Je lui demandai, par interprète, si elle
avait mangé quelquefois de la chair de ses ennemis, et si elle y avait
pris goût; elle me répondit qu'oui; je lui demandai si elle aurait
volontiers tué ou fait tuer un de ses compatriotes pour le manger; elle
me répondit en frémissant, et avec une horreur visible pour ce
crime.
*
Voltaire. Correspondance du rince Royal de
Prusse (depuis Frédéric
II.) et de M. de Voltaire.
Lettre 31. Octobre,
3366 à
Cirey. 1737. tome 1.r de la Correspondance de Frédéric II, Roi de Prusse, 10.e de la
collection des Oeuvres Complettes de Frédéric II, Roi de Prusse, 1790. p. 142.
(6. Sett. 1823.).
[3420,1]
3420 Opinione de' greci, anche filosofi, e principali
filosofi, sul giusto e l'ingiusto creduto altro verso i greci, altro verso i
barbari, non accidentalmente, ma naturalmente; sulla supposta inferiorità di
natura di questi a quelli; sul supposto naturale
diritto ne' greci di comandare a tutte l'altre nazioni, come per natura incapaci
di governarsi da se nè d'acquistare le facoltà a ciò convenienti; sulla supposta
servilità non di circostanza ma di natura ne' barbari (cioè nei non greci),
servilità creduta in essi così universale, che l'esser molti di essi nella
propria nazione servi, era creduto irragionevole, perchè niuno nella loro
nazione era stimato aver dritto di comandarli, essendo tutta la nazione composta
di soli servi per natura. Vedi la rep. d'Aristot. edizione del Vettori, Firenze Giunti 1586. libro 1. p.
7. 31. 32. {{libro 3. p. 257.}} e le note del Vettori ai rispettivi luoghi.
{# 1. E Plutarco t. 2. p. 329. B.
ec.}
(12. Settembre 1823.). {{Opinione rinnovatasi presso gli spagnuoli ec. quanto agli
americani indigeni, ai negri ec. ec.}}
[4290,1]
C'est
en conséquence de ces cruelles opinions, que l'on a vu enseigner
publiquement, à la honte du Christianisme, que l'on
ne devoit pas garder la foi aux hérétiques; sentiment que Clément VIII, qui d'ailleurs
étoit assez honnête homme pour un Pape, approuvoit, ainsi que s'en
plaint amérement le Cardinal d'Ossat. L'inhumaine décision du
concile de Constance, sur le mépris des saufs - conduits, est aussi le
fruit de cette pernicieuse doctrine.
*
(Hist. du concile de
Constance, préface de Lenfant. P. 47.)
Examen
critique des Apologistes de la religion chrétienne, par M. Fréret, chap. 10. édit. de 1766.
p. 188-9.
(Firenze, 19. Sett. 1827.).
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