[2793,2] Gli scrittori greci de' secoli medii e bassi, cioè
dal terzo inclusive in poi, sono pieni d'improprietà di lingua (com'è quella di
Coricio sofista del sesto secolo nell'Orazione εἰς Σοῦμμον στρατηλάτην in Summum ducem, §. 11. ap. Fabric.
B. G. edit. vet. vol. 8. p. 869. lib. 5. cap. 31. di
usare la voce δικαστής in vece di κριτής o di μάρτυς), pieni di frasi strane
quanto alla lingua, pieni di solecismi, e di mille contravvenzioni alle antiche
regole della sintassi e grammatica greca, ma non hanno barbarismi. La loro
lingua per tutto ciò che appartiene all'eleganza, è diversissima da quella degli
antichi scrittori: ma per tutto il resto è la stessa. Si può dir ch'essi
ignorino il buon uso della lingua che scrivono, che non la sappiano adoperare;
ma la lingua che scrivono è quella degli antichi: quella che gli antichi
scrissero
2794 bene, essi la scrivono male. Molte {loro} parole che non si trovano negli antichi, sono però
cavate dal fondo della lingua greca o per derivazione o per composizione ec.;
rade volte ripugnano all'indole d'essa lingua, e per esser chiamate buone,
greche, pure e di buona lega, non manca loro se non la sanzione dell'antichità.
In somma il grecismo di questi scrittori è per lo più cattivo o pessimo, ma la
loro lingua è pura. Le voci e frasi poetiche versate a due mani nelle prose, le
voci o frasi antiquate, le metafore o strane affatto e barbare, o poetiche, non
offendono la purità della lingua, ed appartengono piuttosto al conto dello
stile. Il periodo di questi scrittori, il giro della dicitura, per lo più rotto,
slegato, saltellante, ineguale, ovvero intralciato, duro, aspro, monotono, e
lontanissimo dalla semplicità e dalla maestà dell'antica elocuzione greca,
appartiene certo in gran parte alla lingua, al cui genio è contrarissima la
struttura dell'orazione di quei bassi scrittori, ma non nuoce alla purità. Il
numero e l'armonia è diversissimo
2795 in questi
scrittori da quel ch'egli è negli antichi, ma ciò non solo per la negligenza di
quelli, bensì ancora per la diversa pronunzia introdotta appoco appoco nella
lingua greca, massimamente estendendosi ella a tanti e sì diversi e tra se
lontani paesi, e subentrando a sì diverse favelle, o prendendo luogo accanto ad
esse e in compagnia di esse, o in mezzo ad esse: giacchè bisogna considerare che
la più parte degli scrittori greci dal 3. secolo in poi, non furono greci di
nazione, o certo non furono greci di paese, ma Asiatici ec., e greci solamente
di lingua, e questo ancora non sempre dalla nascita, ma per istudio, come p. e.
Porfirio, della cui lingua patria,
vedi la Vita di
Plotino, capo 17. e l'Holstenio
de Vita et scriptis Porphyrii cap.
2.
(17. Giugno. 1823.). {V. p. 2827.}
[3420,2]
Alla p. 3404.
Quanto nel cit. pensiero ho detto dello stile di Floro, si può, e meglio, applicare a quello di Platone, riputato, {sì} quanto allo stile e a' concetti, sì quanto alla dizione, {+Puoi vedere la pag. 3429.} esser
3421 quasi un poema (v. Fabric.
B. G. in Plat. §. 2. edit. vet. vol. 2. p. 5.); e nondimeno sommo e
perfetto esempio di bellissima prosa, elegantissima bensì e soavissima (non meno
che gravissima: suavitate et gravitate princeps Plato
*
: Cic. in Oratore),
amenissima ec., ma pur verissima prosa, e tale che la meno poetica delle moderne
prose francesi (e mi contento di parlare delle sole riconosciute per buone), è
molto più poetica di quella di Platone
che tra le greche classiche è di tutte la più poetica. Non altrimenti che molto
più poetiche della prosa platonica {sono} assaissime
prose sacre e profane de' posteriori sofisti e de' padri greci ec. la cui
moltitudine avanza forse {+e senza
forse} quella che ci rimane delle prose classiche antiche. Ma per vero
dire, nè quelle son prose, nè le moderne francesi lo sono, ma sofistumi l'une e
l'altre, quelle in ogni cosa, queste in quanto allo stile. (12. Sett.
1823.).
[4026,7] Dico altrove {+p.
2827.} che la mutata pronunzia della lingua greca, dovette di
necessità ne' secoli inferiori, alterandone l'armonia, alterarne la costruzione
l'ordine e l'indole ec. perchè da un medesimo periodo o costrutto diversamente
4027 pronunziato, non risultava più o niuna, o
certo non la stessa armonia di prima. Aggiungi che anche indipendentemente {da} questo, gli scrittori, ed anche i poeti greci de'
secoli inferiori (come pure i latini, gl'italiani, e tutti gli altri ne' tempi
di corrotto gusto e letteratura) amavano e volevano un'armonia diversa per se ed
assolutamente e in quanto armonia da quella degli antichi, cioè sonante, alta,
sfacciata, uniforme, cadenziosa ec. Questa dagli esperti si ravvisa a prima
vista in tutti o quasi tutti i prosatori e poeti greci di detti secoli, anche
de' migliori, ed anch'essi atticisti, formati sugli antichi, imitatori, ec.
Tanto che questo numero, diverso dall'antico e della qualità predetta, che quasi
in tutti, più o meno, e più o men frequente, vi si ravvisa, e[è] un certo e de' principali e più appariscenti segni,
almeno a un vero intendente, per discernere gl'imitatori e più recenti, che
spesso sono del resto curiosissimamente conformi agli antichi, da' classici
originali e de' buoni tempi della greca letteratura. Ora il diverso gusto
nell'armonia e numero di prosa e verso (nel quale aggiungi i nuovi metri,
occasionati da tal gusto e dalla mutata pronunzia della lingua) contribuì non
poco ad alterare, anche negli scrittori diligenti ed archeomani i costrutti e
l'ordine della lingua, come era necessario, e come si vede, guardandovi
sottilmente, per es. in Longino,
perchè vi trovi non di rado in parole antiche un costrutto non antico, e si
conosce ch'è fatto per il numero che ne risulta, e altrimenti non sarebbe
risultato, e il quale altresì non è antico. (Così dicasi dell'alterazione
cagionata ne' costrutti ec. dalla mutata pronunzia). Questa causa di corruzione
è da porsi fra quelle che produssero e producono universalmente l'alterazione e
corruttela di tutte le lingue, nelle quali tutte (o quasi tutte) i secoli di
gusto falso e declinato pigliarono un numero conforme al descritto di sopra e
diverso da quello de' loro antichi. Si
4028 conosce a
prima vista, {e indubbiamente, (almen da un intendente ed
esercitato)} per la differenza e per la detta qualità del numero, un
secentista da un cinquecentista, ancorchè quello sia de' migliori, ed anche
conforme in tutto il resto agli antichi. Il Pallavicini, ottimo per se in quasi tutto il restante, pecca
moltissimo nella sfacciataggine e uniformità (vera o apparente, come dico
altrove pp. 4026-28) del numero, alla quale subito si riconosce
il suo stile, diverso principalmente per questo (quanto all'estrinseco, cioè
astraendo dalle antitesi e concettuzzi che spettano piuttosto alle sentenze e ai
concetti, come appunto si chiamano) da' nostri antichi, da lui tanto studiati, e
tanto e così bene espressi e seguiti. Che dirò del numero di Apuleio, Petronio ec. rispetto a quello di Cic. e di Livio? non che di
Cesare, e de' più antichi e
semplici, che Cic. nell'Oratore dice mancar tutti del numero {+s'intende del colto, perchè senza un numero non possono
essere. V. p. seg. [p. 4029,1]..} Che dirò di Lucano, dell'autore del Moretum, Stazio ec. rispetto a Virgilio? Marziale a Catullo ec.? Or
questa mutazione e depravazione del numero dovette necessariamente essere una
delle maggiori cagioni dell'alterazione della lingua sì greca, sì latina e
italiana, sì ec., massime quanto ai costrutti e l'ordine, e quindi alla frase e
frasi, e quindi all'indole, insomma al principale. Anche si dovettero depravar
le {semplici} parole per servire al numero, {+e grattar l'orecchio avido di nuovi e
spiccati suoni,} o sformando le vecchie, o inducendone delle nuove e
strane, o componendone, come in greco, o troncandole come tra noi (l'uso de'
troncamenti è singolarmente proprio del Pallavicini, e de' secentisti e de' più moderni da loro in poi),
avendo riguardo sì al suono della parola in se, sì al suo effetto nella
composizione e nel periodo. (9. Feb. 1824.). Veggasi il detto
altrove pp. 848-49
{su d'alcuni} sforzati costrutti d'Isocrate per evitare il concorso {(conflitto)} delle vocali ec. ec. (9. Feb. 1824.).
(Riferiscasi ancora a questo proposito per quanto gli può toccare, il detto
altrove pp. 1157-60 sul
vario gusto de' greci, lat. e ital. in diversi tempi, circa il concorso,
l'abbondanza ec. delle vocali.) Ora se questo accadeva a Isocrate ottimo giudice, ed esposto
4029 migliaia d'altri tali, e scrivente per piacere a
essi, nel centro della lingua pel tempo e pel luogo, fiorente la lingua e la
letteratura, nel suo gran colmo ec. ec. che cosa doveva accadere ne' secoli
bassi ne' quali ec. fra gl'imitatori ec. la più parte, com'era allora non greci
di patria, ma dell'Asia, e questa anche alta, non la
minore ec. ec. molti ancora non greci neppur di genitori, come Gioseffo, Porfirio e tanti altri ec. ec.? (10. Feb.
1824.).
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