21-24. Marzo 1821.
[838,1] Quanto più l'indole, la struttura, l'andamento di una
lingua, è conforme alle regole naturali, semplice, diritto ec. tanto più quella
lingua è adattata alla universalità. E per lo contrario tanto meno, quanto più
ella e[è] figurata, composta, contorta, quanto
più v'ha nella sua forma di arbitrario, di particolare e proprio suo, o de' suoi
scrittori ec. non della natura comune delle cose. Le prime qualità spettano per
eccellenza alla lingua francese, quantunque la lingua italiana le possieda molto
più della latina, anzi senza confronto; tuttavia in esse (e felicemente) cede
alla francese, come tutte le lingue moderne {Europee,}
quantunque nessuna di queste ceda in esse qualità alla latina, anzi la vinca di
gran lunga, e neppure alla greca.
[838,2] Come queste qualità giovino alla universalità di una
lingua, è manifesto già per se stesso, ma lo sarà anche più per le segg.
considerazioni. Un effetto naturale di dette qualità, è che il linguaggio degli
scrittori, o nulla
839 poco differisca dal familiare, e
comune alla nazione. Così accade alla Francia, il
contrario in italia, il contrarissimo nel latino. Questo
effetto cagiona che, quella stessa lingua che si parla trovandosi scritta, 1. se
ne dimezzi per così dire la difficoltà: 2. le persone volgari, o la
conversazione qualunque alta o bassa dei parlatori di quella lingua, sia tanto
buona maestra e propagatrice di essa presso gli stranieri, fuori o dentro il
paese, come lo possano essere gli scrittori: 3. e per lo contrario gli scrittori
lo siano tanto, quanto i negozianti, i viaggiatori, e chiunque parla quella
lingua cogli stranieri, sì nel suo proprio paese come fuori: 4. quindi e i
parlatori e gli scrittori propaghino tutti unitamente una sola e stessa lingua
ovvero linguaggio; o vogliamo dire due linguaggi così poco differenti, che
inteso qualsivoglia de' due, senza nessuna fatica s'intenda e si parli anche
l'altro. Effetto notabilissimo: perchè l'influenza degli scrittori è somma nel
propagare una lingua; ma d'altra parte per mezzo degli scrittori, non può mai
divenire
840 universale, se da essi non s'impara a
parlarla cioè usarla; ed allora potrà esser divulgata per solo studio e
ornamento, com'era una volta l'italiana: l'influenza de' parlatori è somma, ma
minore assai, se non cospira con quella degli scrittori, se per mezzo di essa
non {si} viene a capo di mettersi in relazione col
resta[resto] della nazione, colla totalità
per così dire di essa, il che non si può fare se non per mezzo degli scrittori,
e tanto più, quanto più questi sono divulgati intesi e letti dalla totalità
della nazione, e non dalla sola classe letterata. La unione di queste due
influenze, partorisce dunque un effetto massimo. Lo straniero di qualunque
condizione, per qualunque circostanza, per qualunque inclinazione, per qualunque
professione, per qualunque mezzo, per qualunque fine, abbia dovuto, abbia
voluto, si sia abbattuto ad apprendere quella lingua, è padrone di tutta quanta
ella è, di parlarla e intender chi la parla, di leggerla, di scriverla, di
usarla comunque le aggrada, nella conversazione, nel commercio, e al tavolino;
di mettersi in communicazione con tutta
841 quella
nazione che la parla o scrive, e con tutti quegli stranieri che l'adoprano in
qualunque modo e per qualunque motivo. Il letterato che l'ha appresa per
istruirsi, e per conoscere quella letteratura; il negoziante che l'ha appresa
per usi di mercatura; quegli che l'ha appresa senza studio, e per sola pratica o
de' nazionali, o de' forestieri ec. ec. tutti sono appresso a poco nello stesso
grado, ed hanno gli stessi vantaggi.
[841,1] Questi effetti risultano dalla parità di linguaggio
fra gli scrittori e la nazione, e risultano in maggiore o minor grado, in
proporzione che la causa è maggiore o minore. In Francia
è grandissima, e non solo la detta parità di linguaggio, ma anche la effettiva
popolarità e nazionalità degli scrittori e della letteratura. In
Italia oggidì (che nel trecento era tutto l'opposto)
la lingua scritta degli scrittori, sebbene differisca dalla parlata molto meno
che fra' latini, tuttavia differisce, credo, più che in qualunque altro paese
culto, certamente Europeo.
842 E questo forse in parte
cagiona la nessuna popolarità della nostra letteratura, e l'essere gli ottimi
libri nelle mani di una sola classe, e destinati a lei sola, ancorchè pel
soggetto non abbiano a far niente con lei. Il che però deriva ancora dalla
nessuna coltura, e letteratura, e dalla intera noncuranza degli studi anche
piacevoli, che regna nelle altre classi d'italia;
noncuranza che deriva finalmente dal mancare in italia
ogni vita, ogni spirito di nazione, ogni attività, ed anche dalla nessuna
libertà, e quindi nessuna originalità degli scrittori ec. Queste cagioni
influiscono parimente l'una sull'altra, e nominatamente sulla disparità della
lingua scritta e parlata, e tutte con iscambievoli effetti contribuiscono sì a
tener lontano dall'italia ogni spirito di patria, ogni
vita, ogni azione; sì ad impedire ogni originalità degli scrittori; sì
finalmente a mantenere la intera divisione che sussiste fra la classe letterata
e le altre, fra la letteratura e la nazione italiana. Nel cinquecento, e anche
durante il seicento, sebbene la lingua scritta italiana, si
843 fosse allontanata dalla parlata, molto più che nel trecento (non
però quanto oggidì), tuttavia la letteratura continuava ancora in grandissima
relazione colle classi, se non volgari, certo non di professione letterata, e
quindi anche passava agli stranieri. E ciò, parte perchè la nazione conservava
ancora un sentimento, uno spirito patrio, un'azione, una vita, e gli scrittori
bastante libertà ed originalità; parte perchè l'italiano che si parlava, era
italiano ancora, più o meno, e non barbaro, come oggidì, che volendo scrivere
come si parla, non si scriverebbe italiano, anzi appena si riuscirebbe a farsi
intendere alla stessa nazione. Ed allora lo studio della lingua era più diffuso,
e la letteratura parimente, e più viva e in movimento, e maggiore il numero dei
letterati di professione, e degli scrittori buoni, e di quelli che senza esser
letterati, aveano tanta letteratura quanto basta per essere buon lettore, e per
curarsi di leggere. E gli argomenti che si trattavano erano più nazionali, più
importanti, più nuovi,
844 più propri dello scrittore
ec. brevemente c'era un'[un] altro spirito
letterario e negli scrittori e nella nazione.
[844,1] Dall'applicazione di questi principii alle lingue
moderne, passiamo alle lingue antiche. Che la forma e struttura di una lingua
fosse così ragionevole, così conforme alla stretta verità ed ordine delle cose,
come lo può essere in qualche lingua moderna, non era possibile fra gli antichi,
dove regnava molto più l'immaginazione, che la secca e infelice ragione. Non
bisogna dunque nelle ragioni della universalità di una lingua antica, ricercar
troppa conformità, con quelle che richiedonsi allo stesso effetto in una lingua
moderna. Una lingua antica poteva essere adattata alla universalità fino a un
certo segno, e conseguirla, ma non mai quanto una moderna. La lingua greca
sebbene più figurata non solo della francese, ma della italiana (dico della
italiana che non pecchi di troppa, e a lei non naturale conformità col latino
andamento, come peccò alle volte nel 500. al contrario
845 del 300, e della sua vera indole) contuttociò era nella sua primitiva
qualità, di una forma, se non ragionevole, naturalissima però, e semplicissima,
e facilissima. Sino a tanto ch'ella mantenne il suo vero genio, mantenne anche
queste proprietà. Le mantenne in Erodoto, in Senofonte,
negli Oratori Attici, e generalmente {più o meno} in
tutti gli scrittori degli ottimi suoi secoli {sempre appresso
a poco, in proporzione dell'antichità rispettiva.} Gli scrittori che
successero a questi, benchè buoni ancor essi, benchè lontani dalla turgidezza,
dall'arguzia, dalla decisa oscurità, dalla soverchia intralciatura, dalla
immodestia dello stile e della lingua, allontanarono però moltissimo la lingua
greca, da quella nativa, nuda, schietta, spontanea, facile bellezza e grazia de'
suoi ottimi e primi scrittori, e sforzarono la sua primitiva natura ed indole,
accostandola piuttosto alla struttura latina, che alla propria sua. Questo si
nota in Polibio, in Dionigi d'Alicarnasso, ma molto più ne' susseguenti,
come in Luciano, molto più e
soprattutto in Longino. Scrittori
elegantissimi,
846 di eleganza non affettata, non
impura, non corrotta, non malsana, ma diversa da quella semplicissima eleganza
dell'antica lingua greca, e se non contraria e ripugnante, certo rimota
dall'indole e dal costume suo primitivo: nello stesso modo che si può dire di
alcuni cinquecentisti modellatisi forse troppo sui latini, e non perciò
corrotti, nè affettati, nè ripugnanti all'indole della lingua italiana, ma
diversi dal di lei primitivo costume manifestato nei trecentisti; appresso i
quali la lingua italiana, come somiglia moltissimo nell'andamento alla greca,
così ebbe poi a patire quella stessa, benchè {per se
medesima} non cattiva, diversificazione che patì, come ho detto, la
lingua greca; e come questa, cessare appoco appoco da quella parità di
linguaggio ch'era tra gli scrittori e la nazione, nell'una e nell'altra lingua,
come della greca lo dirò poi. Di facilissima ch'era l'antica scrittura greca,
divenne appoco a poco, se non oscura, certo difficile, essendo declinata in
quell'idioma lavorato ed ornato, che o nello stesso
847
tempo, o poco prima o dopo, divenne proprio de' latini, da' quali io non
discrederei che fosse passato quel costume e quel gusto ai greci (ma
bisognerebbe esaminare gli scrittori greci intermedii fra Demostene, e quelli che furono ai tempi Romani);
sebben potesse molto naturalmente nascere dallo studio, dagli Atticisti che
uscivan fuori, dal ridursi la cosa a regola, e la eleganza a misura e
meditazione, e ricerca ec. Longino,
sebbene fioritissimo delle possibili eleganze e gentilezze della lingua greca,
le ricerca tanto, e le accumola (senza però affettazione), che si trovano più
frasi e modi figurati in lui che in dieci antichi greci tutti insieme; e sì per
questo sì per la struttura intrecciata, composta, manipolata dell'orazione; la
lunghezza, e strettissima e fortissima legatura de' periodi, {le ambagi ec.} riesce tanto difficile quanto i più difficili e
lavorati scrittori latini. Ai quali egli somiglia tanto, che, massime vedendolo
studioso di Cicerone, non dubito, quanto
a lui, che quello scrivere non gli sia derivato dai latini, e ch'egli non abbia
o voluto trasportare,
848 o (come si fosse) trasportato
l'indole e gli spiriti latini nella lingua greca, quanto però questa lo
comportava; perchè a ogni modo, come faranno sempre tutte le lingue, ella
conserva anche presso lui, il suo sembiante diverso dall'altrui. Non dirò niente
de' Sofisti, e degli altri scrittori dell'infima letteratura greca, anche di
quella letteratura già moriente e disperata (come ai tempi di Teofilatto Arciv. di Bulgaria). I quali quando
volevano stare davvero sull'attillato, scrivevano in modo che unita alla viziosa
e corrotta ricercatezza, arguzia, e oscurità dello stile, la ricercatezza, e
attortigliamento, e tortuosità della lingua, sono di tanta difficoltà ad
intenderli, di quanto poco uso ad averli intesi.
[848,1] Questa declinazione della lingua greca dal suo primo
sentiero, e costume ed indole, si può far manifesto ancora considerando la
lingua d'Isocrate. Il quale è tanto
famoso per la delicatissima cura che poneva nella scelta e collocazione delle
parole, nella struttura ed armonia de' periodi, che si potrebbe credere ch'egli,
quantunque pel tempo appartenga a quegli
849 antichi
scrittori ch'io ho distinto da' più moderni, pel carattere però della sua lingua
appartenesse piuttosto a quegli ultimi. E pure la sua cura, qualunque fosse, è
così nascosta, la sua lingua, la collocazione {e
l'ordine} delle sue parole, la struttura de' periodi, e dell'orazione,
così facile, piana, semplice, naturale, spontanea, che non solo non si allontana
dalla primitiva indole della sua lingua, ma riesce anche più chiaro e facile e
stralciato di parecchi altri degli ottimi; e certo non meno di veruno di essi.
Tanto che a paragonare Isocrate
stimato l'elegantissimo e l'accuratissimo degli ottimi scrittori greci, col meno
elegante e lavorato de' buoni, si troverà questo, molto più difficile, e men
piano e svolto di lui. Sicchè, come da Senofonte
{ed Erodoto}
conosciamo qual fosse la semplicità e la soavità, da Tucidide e Demostene la forza e il nervo di quella antica lingua greca, così da
Isocrate conosciamo qual ne fosse
la eleganza, e la galanteria; e quanto diversa da quella che sotto questo nome
fu introdotta
850 ne' secoli e dagli scrittori ancor
buoni e notabilissimi, ma non ottimi, della greca letteratura.
[850,1] Finchè questa dunque durò nel suo primo ed ottimo
stato, la diversità fra la lingua parlata e scritta, fu piccola, e, credo io,
non molto maggiore di quella che ora sia in Francia.
Prova ne può essere fra le altre molte l'aver letto Erodoto la sua storia al popolo, e averne riscosso
quegli applausi nazionali che tutti sanno. Cosa che non sarebbe avvenuta, se
(posta nel rimanente la parità delle circostanze) il Guicciardini avesse letta la sua storia alla
moltitudine. E se T. Livio o Tacito avessero fatto lo
stesso, non al cospetto di giudici scelti e intelligenti, ma avendo per giudice,
o anche avendo ad esser giudicati da alcuni pochi, ma applauditi però con
entusiasmo dalla moltitudine, crediamo noi che vi sarebbero riusciti? Quanto
alle Orazioni de' famosi oratori latini, dette nella concione,
ognuno sa, che le scritte erano diverse dalle recitate, e però da quelle che
abbiamo di Cic. non possiamo argomentare
che
851 quello stesso linguaggio egli usasse col
popolo.
[851,1] Sì dunque la naturalezza, semplicità e facilità di
forma della lingua greca, tanto negli antichi scrittori, quanto nella nazione;
sì la {quasi} uniformità di linguaggio che ne seguiva
fra i detti scrittori, e il popolo, come questa era effetto di quella, così
ambedue unitamente contribuivano a rendere la lingua greca adattata alla
universalità; adattata dico in proporzione dei tempi, non quanto bisognerebbe
esserlo oggidì, nè quanto lo è la francese, che oggidì una lingua per essere
universale, ha bisogno di essere arida e geometrica, e la greca era floridissima
e naturalissima; di essere ristretta, e la greca era larghissima e ricchissima;
di essere non bella, e la greca era bellissima. Perciò la greca non era, e
nessuna bella e naturale lingua lo potrà esser mai, pienamente nè stabilmente
universale; ma, sì per le dette ragioni, sì per le recate in altro pensiero pp. 239-45, serviva a quella universalità lassamente
852 considerata, {e non
assolutamente,} che poteva convenire ad un tempo, dove nè la ragione,
nè le cognizioni esatte, nè la filosofia, nè l'esattezza assolutamente, nè il
commercio scambievole delle nazioni, e de' loro individui fra essi, avevano
fatto progressi paragonabili in grandezza nè in estensione agli odierni. E si
può anche notare, che siccome erano ancora i tempi della immaginazione e non
della ragione, così (sebben quella è varia, e questa monotona, e uniforme
dappertutto) contuttociò quella stessa immaginazione che regolava quella lingua
fra i greci, poneva anche gli altri popoli, ancora governati dalla
immaginazione, in grado di adattarsi senza troppa difficoltà a quella lingua,
{come} conforme al carattere di que' secoli, e di
trovare corrispondente alla propria inclinazione, la naturalezza di quella
lingua (parola che io intendo qui di opporre alla ragionevolezza e geometria, e
di adoperarla in questo senso).
[852,1] Egli è evidente che quanto più l'andamento di una
lingua è naturale semplice facile, e non capriccioso presso gli scrittori,
853 tanto più si conforma al carattere della favella
usuale e popolare. E che siccome queste qualità di una lingua, la rendono più o
meno atta alla universalità, così anche alla detta conformità fra il parlato e
lo scritto, conformità dalla quale di nuovo nasce una grande attitudine alla
universalità. Perchè la favella del popolo, sebbene immaginosa ordinariamente e
in qualunque nazione, è però sempre semplice, piana, facile, o inclina sempre a
queste qualità, ed alla naturalezza dell'ordine, e si allontana dal lavorato,
dall'arbitrario, da tutto quello che deriva puramente dall'individuo {o da una data classe d'individui,} e non dalla natura e
delle cose e del popolo: natura che sebben diversa {dalla
ragione,} e molto più varia e copiosa e rigogliosa della ragione;
tuttavia presso a poco si rassomiglia da per tutto e in tutti i popoli. Onde il
linguaggio comune di qualunque popolo, massime relativamente a quelle nazioni
che appartengono ad una stessa classe (come le nazioni colte di
Europa) e formano quasi una famiglia; un tal
linguaggio,
854 dich'io, per lo meno dentro i limiti di
quella tal famiglia di nazioni, è sempre per se medesimo, e astraendo dalle
circostanze particolari, adattato più o meno alla universalità. Non così quello
degli scrittori, i quali bene spesso allontanandosi appoco appoco dall'andamento
popolare della loro lingua, si allontanano altresì dal carattere universale. E
così la lingua scritta di questa o quella nazione, prendendo appoco appoco un
andamento proprio, e qualità proprie e speciali, per questa proprietà e
specialità, si viene allontanando più o meno dalla linea universalmente
riconosciuta, ed allontana dalla universalità la loro lingua che vi era
naturalmente adattata. Giacchè siccome la lingua della nazione influisce su
quella dello scrittore, così anche la scritta sulla parlata. Talmente che anche
la lingua popolare di una nazione, sebbene senza fallo adattata da principio alla universalità, può e
viene effettivamente perdendo più o meno, o scemando la sua disposizione a
questa qualità.
[855,1]
855 Il detto effetto degli scrittori, e diversificazione
della lingua scritta, dall'andamento naturale della lingua, accadde in
grecia, ma tardi, e dopo i loro sommi scrittori. Non
è accaduto in Francia. È seguito in
italia dal cinquecento in poi. Seguì in
Roma, nella prima stabile formazione della lingua
latina scritta, e per opera de' primi veramente classici di quella
nazioni[nazione.] Del che resta a
parlare.
[855,2] I primi scrittori latini, ancorchè perduti, pur si
conosce dai loro frammenti, o da quel poco che ne resta comunque, che, al pari
di tutti i primi scrittori di qualunque lingua, avevano un andamento naturale e
semplice, che si accosta al vero e antico genio della lingua greca, a quello
dell'antica lingua italiana, ossia del trecento; e per conseguenza anche al loro
linguaggio nazionale e parlato. Il che si dimostra anche per altre ragioni,
quando non bastasse la semplice e facile loro andatura per convincere che non si
scostavano molto dal latino volgare.
856 Una delle quali
ragioni, o argomenti e conghietture (giacchè del latino non ci resta il parlato,
ma il solo scritto), si è il trovare in essi buon numero di parole, modi, forme,
che non si trovano negli autori dell'aurea latinità, e che pure son passate, o
somigliano alle passate nella nostra lingua, derivata in gran parte (come con
grandi ragioni si prova) dal volgare latino. E in genere si trova ne' detti
antichi latini gran conformità (anche in piccole minuzie e materialità, fino di
ortografia) coll'italiano, e molto maggiore, che ne' seguenti latini
scrittori.
[856,1] Ma o provenisse dalla differenza dei tempi fra
l'ottima letteratura greca e la latina (che certo la greca venne a tempi di
maggior naturalezza, anzi gli ottimi suoi secoli furono compagni degli ottimi
tempi della greca repubblica, laddove quelli della latina furono contemporanei
precisamente della declinazione e corruzione morale e politica del popolo
romano, avvenuta per l'eccesso di civiltà, e questo per l'eccesso di potere); o
provenisse da
857 questo che i greci formarono da se la
loro letteratura e il loro gusto, e quindi più naturalmente, laddove i latini la
formarono sopra quella dei greci (onde ella fu tutto parto di studio, trovò al
suo stesso nascere l'arte già formata e insignorita dello scrivere, e fece per
l'aiuto l'esempio, e l'insegnamento di una nazione straniera, così rapidi
progressi, che la natura appena ebbe scarsissimo tempo di precedere l'arte, e la
letteratura latina fu subito e intieramente in balia delle regole, e
dichiaratamente artifiziale, e polita: oltre che la stessa arte anche in
grecia, piuttosto declinava già all'eccessivo, di
quello che lasciasse più niente alla natura: onde la letteratura latina superò
immantinente a gran distanza, quella della grecia
contemporanea, com'è naturale che in un paese dove la letteratura è recente,
ella non declini prima di essere stata ottima, e l'eccesso dell'arte non abbia
luogo, prima
858 che lo abbia avuto il di lei giusto
grado: nel quale però durò poco appo i latini, e la loro letteratura come fu
rapida in salire, così nello scendere: e ciò per la condizione de' tempi già
precipitanti lungi dalla natura, il torrente della civiltà che ingrossava e
tagliava i nervi alla grandezza e alla forza della specie umana; il contagio
dell'arte già passata nella grecia al di là della
maturità, sì nel resto, come nello scrivere; e la circostanza che la letteratura
latina tardò tanto da cominciare quando restava poco tempo a poter durare in
buon essere, poco tempo alla forza alla grandezza, alla vera vita degli uomini,
poco tempo all'imperio della natura, e delle facoltà vitali dell'uomo, quando
era imminente la corruzione e il precipizio della società, di
Roma, delle nazioni civili, della libertà, del mondo)
da quale di queste cagioni provenisse, o da ambedue insieme, il fatto sta che
appena la lingua latina {scritta} prese forma stabile,
e acquistò
859 perfezione, si allontanò dalla parlata
più di quello che mai facesse lingua colta del mondo; pose e creò una somma
distinzione fra la lingua degli scrittori, e quella del popolo; si allontanò
quanto mai si possa dire dall'andamento e struttura naturale e comune e
universale del discorso (senza però opporsi alla natura): e per tutte queste
ragioni la lingua latina, non ostante l'estesissima diffusion della nazione,
divenne la meno adattata alla universalità che mai si vedesse: e non ottenne,
seppur vogliamo credere o dire che mai l'ottenesse, questa universalità, se non
quando fu imbarbarita; e perduta la sua proprietà, la lingua scritta si confuse
un[un'] altra volta colla parlata, prese
tante forme {e caratteri,} quanti popoli e scrittori
l'adoperarono, e divenne piuttosto una famiglia di lingue tutte barbare, che una
lingua universale nè colta. Il che presto accadde, e durò fino al nascere
860 delle sue figlie, o piuttosto fino al crescere che
queste fecero, e al separarsi da lei, perchè per lungo tempo (siccome accade in
tutte le lingue figlie) non si poterono considerare se non come parte di quella
famiglia di lingue barbare contenute nella latina, smembrandosi questa e
facendosi in brani, come il grande imperio della sua nazione, e
contemporaneamente al di lui misero diflusso.
[860,1] Del resto la lingua latina scritta ne' primi veri e
formati classici di essa, fu ridotta a tale artifizio, {squisitezza,} tortuosità, intrecciatura, composizione, lavoro,
circuito, tessitura di periodi, {obliquità di costruzione
ec.;} acquistò subito così stretta proprietà di modi, di frasi, di
voci, proprietà inviolabile senza offesa formale della lingua; tanto precisa
distinzione nell'uso de' suoi sinonimi, ossia delle innumerabili voci destinate
alla significazione delle nuances di uno stesso
oggetto; che quella lingua contenne il più di eleganza arbitraria che mai si
vedesse, fu opera espressa dello scrittore più che qualunque altra; abbisognò di
sì
861 profonda, {sottile,}
minuta, esatta, e determinata cognizione non solo della sua indole, ma di
ciascun modo, frase, parola, a volerla trattare senza offendere la sua sì
propria e individuale e arbitraria altrettanto che definita proprietà; che
allontanandosi estremamente dal volgare, e formando subito due lingue separate,
cioè la scritta e la parlata, s'impossibilitò ancora, sì per questa, sì per
quelle ragioni, alla universalità. Alcuni scrittori latini, che anche nel tempo
della perfezionata loro lingua letterata, si accostarono un poco più degli altri
ai loro antichi scrittori, o al popolo, e conservarono maggiormente l'antico
carattere della lingua; si accostarono altresì più degli altri agli ottimi
greci, furono più semplici, più facili e piani, meno contorti e lavorati ec. e
si avvicinarono ancora al genio futuro della lingua italiana. Tali furono Cesare, Cornelio Nipote, e sopra tutti Celso, del quale vedi quello che ho notato altrove
pp. 32-35
862 della gran somiglianza che ha, sì col greco, sì
massimamente coll'italiano, tanto nell'andamento, come nelle minute forme,
frasi, voci. E dovunque si trova nei latini scrittori, un tantino di quel
candore e di quella grazia nativa, che non fu mai proprio della loro letteratura
(eccetto i primi e non perfetti scrittori); si trova altresì maggiore e notabile
somiglianza col carattere della lingua greca, e della nostra, e quindi anche del
volgare latino, da cui la nostra è derivata, e a cui non dubito che Celso non si accostasse notabilmente, e
più che ogni altro Classico conosciuto del secolo d'oro o d'argento. Tuttavia
anche in questi scrittori medesimi, si trova sempre un'aria di maggior coltura,
una lingua più lavorata, più nitida, meno semplice, meno piana e naturale che
quella degli ottimi greci, anzi in tal grado che non è possibile mai di
confonderli con questi. E certo {quel candore,} quella
nuda venustà de' greci, e anche
863 (ma quanto alla sola
lingua) de' nostri trecentisti, non fu mai propria della scrittura e letteratura
latina, se non forse della primitiva. E verisimilmente non la comportava il
carattere della nazione romana, assai più grave che graziosa, e quantunque
naturale e semplice anch'essa (come tutte le antiche, non ancora, o non del
tutto corrotte, e massime come tutte le nazioni libere e forti e grandi)
tuttavia, padrona piuttosto della natura, di quello che amante e vagheggiatrice,
come la nazione greca. (21-24. Marzo 1821.).