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Latinisti italiani del cinquecento ec.

Italian latinists of the 16th century, etc.

1023,2 1066,2 1973,1 3024,2 3336,1 3338,1 4240,2

[1023,2]  Alcuni scrittori greci degli ultimissimi tempi dell'impero greco, furono anche superiori in eleganza a molti de' tempi più antichi ma corrotti, come gli scrittori latini del cinquecento in italia superarono bene spesso gli antichi latini posteriori a Cic. {e} a Virgilio. Dopo il secolo d'Augusto non è stato mai tempo in cui sì generalmente * (come nel 500.) si scrivesse con coltura e con pulitezza la lingua de' romani. * Andrès, l. cit. qui sopra, p. 96. (8. Maggio 1821.).

[1066,2]  Quanta sia la superiorità degl'italiani nell'attitudine a conoscere e gustare la lingua latina, si può argomentare proporzionatamente dalla superiorità riconosciuta in loro, nel bello scriver latino, ossia nella imitazione  1067 degli scrittori latini, quanto alla vera e propria ed ottima lingua latina. E certo chi è superiore nell'imitare, chi è superiore nel maneggiare e adoperare, è necessario che lo sia pure nel conoscere e nel gustare, e quella prima superiorità, suppone questa seconda. Ora di questa superiorità degl'italiani nello scriver latino, dal Petrarca fino a oggidì, v. Andrès t. 3. p. 247. - 248. e quivi le note del Loschi, p. {89 - 92. p.} 99. - 102. t. 4. p. 16. e le Epist. del Vannetti al Giorgi. (20. Maggio 1821.).

[1973,1]  Io credo possibile il tradurre le opere moderne o filosofiche o di qualunque argomento, in buon greco (massime le italiane o spagnuole o simili), come son certo che non si potrebbero mai tradurre in buon latino. Se le circostanze avessero portato che la lingua greca avesse nei nostri paesi prevaluto alla latina, e che quella in luogo di questa avesse servito ai dotti nel risorgimento degli studi, l'uso di una lingua morta, avrebbe forse potuto durare più lungo tempo, o almeno esser più felice (nè solo negli studi, ma in tutti gli altri usi in cui s'adoprò la lingua latina fino alla sufficiente formazione delle moderne europee); i nostri eleganti scrittori latini del 500. ec. avrebbero potuto esser quasi moderni, se avessero scritto in greco, laddove scrivendo in latino si assicurarono di non poter esser lodati se non dagli antichi, e di servire ai passati  1974 in luogo de' posteri, e di potersi piuttosto ricordare che sperare; e se la lingua che oggi si studia tuttavia da' fanciulli, e quella che molti, massime in italia, si ostinano a voler ancora adoperare in questa o quella occasione, fosse piuttosto la greca che la latina, essa servirebbe molto più alla vita moderna, faciliterebbe molto più il pensiero, e l'immaginazione ec. e sarebbe alquanto più possibile il farne un qualche uso pratico ec. (23. Ott. 1821.). {{V. p. 2007.}}

[3024,2]  Alla p. 2828. fine. Notate che anche la vera pronunzia e la vera armonia della lingua latina è da gran tempo e perduta e ignota. Contuttociò, quantunque sia certissimo che questo rende assai difficile ai moderni di scrivere secondo la vera indole della lingua, del giro, del periodo, della costruzione latina ec., nondimeno, siccome la lingua latina è morta, così lo scrittore che oggi vuole scrivere in  3025 latino (e così quelli che scrissero in latino dal 300. in poi) può trascurare affatto la pronunzia moderna, può anche fino a un certo segno dimenticarsela, può astrarre affatto dall'armonia, e non considerando negli antichi scrittori se non le pure costruzioni, i puri periodi ec. indipendentemente sì dal ritmo che ne risultava sì da quello che oggi ne risulta, seguirli e imitarli ciecamente tali quali sono essi, non facendo caso della moderna pronunzia. Ma la lingua greca era ancor viva, benchè la pronunzia fosse cambiata, e agli scrittori non era nè facile il dimenticare e astergersi dagli orecchi il suono quotidiano e corrente della loro propria favella, nè volendo ancora seguire (come molti vollero) strettamente e imitare esattamente gli antichi, era loro possibile negare affatto ai loro periodi un numero che fosse sentito dall'universale {{de' greci a}} quel tempo. Poichè questi periodi avevano pure ad esser letti e pronunziati da nazionali che quantunque non pronunziassero come una volta, intendevano però e parlavano tuttavia quella lingua, come  3026 materna. Onde non era quasi possibile dare {nelle scritture} alla lingua, ch'era pur nazionale e volgare, un ritmo al tutto, si può dir, forestiero, e ignoto a tutti, fino allo stesso scrittore; ch'è quanto dire non darle in somma alcun ritmo, (24. Luglio. 1823.) cioè niun ritmo che alla nazione a cui si scriveva, nè pure allo stesso scrittore, riuscisse tale. (24. Luglio 1823.).

[3336,1]  {Puoi vedere il Dialogo Delle Lingue dello Speroni dalla p. 121. in poi, cioè tutto il discorso tra il Lascari e il Peretto, sino alla fine del Dialogo.}

[3338,1]  Del resto, dalle considerazioni qui dietro fatte sulla necessità che l'europa {e lo spirito umano} avevano di nuove lingue {illustri} a potersi avanzare e nè costumi e nelle scienze e nelle lettere e nella filosofia, dopo il risorgimento degli studi; e sul grandissimo detrimento e ritardo che portò alla rinata civiltà la rinnovazione dell'uso esclusivo del latino come lingua illustre; e sul maggior danno e indugio che le avrebbe apportato la continuazione di tale uso, apparisce più visibilmente che mai quanto debbano a Dante, non pur la lingua italiana, come si suol predicare, ma la nazione istessa, e l'europa tutta e lo spirito umano. Perocchè Dante fu il primo assolutamente in europa, che (contro {l'uso e} il sentimento di tutti i suoi contemporanei, {e di molti posteri,} che di ciò lo biasimarono: v. Perticari Apologia cap. 34.) ardì concepire  3339 e scrisse un'opera classica {e di letteratura} in lingua volgare e moderna, inalzando una lingua moderna al grado di lingua illustre, in vece o almeno insieme colla latina che fino allora {da tutti,} e ancor molto dopo da non pochi, era stata e fu stimata unica capace di tal grado. E quest'opera classica non fu solo poetica, ma come i poemi d'Omero, abbracciò espressamente tutto il sapere di quella età, in teologia, filosofia, politica, storia, mitologia ec. E riuscì classica non rispetto solamente a quel tempo, ma a tutti i tempi, e tra le {{primarie;}} nè solo rispetto all'italia ma a tutte le nazioni e letterature. Senza un tale esempio ed ardire, o s'ei fosse riuscito men fortunato e splendido, e se quell'opera pel suo soggetto fosse stata meno universale, e meno appartenente, per così dire, a ogni genere di letteratura e di dottrina; si può, se non altro, indubitatamente credere che sì l'italia sì l'altre nazioni avrebbero tardato assai più che non fecero a inalzare le lingue proprie e moderne al grado di lingue illustri, e quindi a formarsi delle letterature proprie e  3340 e moderne e conformi ai tempi, e quindi lo spirito e il carattere nazionale, moderno, distinto, determinato ec. Dante diede l'esempio, aprì e spianò la strada, mostrò lo scopo, fece coraggio e col suo ardire e colla {{sua}} riuscita agl'italiani: l'italia alle altre nazioni. Questo è incontrastabile. Nè il fatto di Dante fu casuale e non derivato da ragione e riflessione, e profonda riflessione. Egli volle espressamente sostituire una lingua moderna illustre alla lingua latina, perchè così giudicò richiedere le circostanze de' tempi e la natura delle cose; e volle espressamente bandita la lingua latina dall'uso de' letterati, de' dotti, de' legislatori, notari ec., come non più convenevole ai tempi. Il fatto di Dante venne da proposito e istituto, e mirò ad uno scopo; e il proposito, l'istituto e lo scopo (quanto spetta al nostro discorso {#1. Perocchè anche altri istituti egli seguì, ed altri fini si propose, tutti bellissimi e savissimi, ma che non appartengono al nostro proposito.}) {+(siccome eziandio la scelta e l'uso de' mezzi)} fu da acutissimo, profondissimo e sapientissimo filosofo. Veggasi il Perticari nel luogo citato. (2. Sett. 1823.).

[4240,2]  Chi scrivendo oggi, cerca o consegue la perfezion dello stile, e procede secondo le sottilissime avvertenze e considerazioni dell'arte antica intorno a questa gran parte, e secondo gli esempi perfettissimi degli antichi, si può dir con tutta verità, che scriva solamente e propriamente ai morti, non meno di chi scrive in latino, o di chi usasse il greco antico. Tanto è oggi (e sarà forse in futuro) cercare {con quanto si sia successo,} la perfezion dello stile nelle lingue vive, quanto cercarla {ed anco trovarla} nelle morte, come facevano molti illustri italiani del cinquecento nella latina. (2. 1827.).